Biografie di personaggi famosi e storici nato il 20 settembre

Biografie di personaggi famosi e storici

Biografie di personaggi famosi nella storia e celebrità nate il 20 settembre

Sommario:

1. Asia Argento
2. Loredana Berté
3. Andrea Berton
4. Robert Emmet
5. Theodor Fontane
6. Sophia Loren
7. George R. R. Martin
8. Mia Martini
9. Ernesto Teodoro Moneta
10. Belen Rodriguez
11. Nazario Sauro
12. Vittorio Taviani
13. Cesare Zavattini

1. Biografia di Asia Argento

Maledetti ruoli
20 settembre 1975

Chi è Asia Argento?


Figlia d'arte del regista italiano Dario Argento, nasce a Roma il 20 settembre 1975 come Asia Aria Anna Maria Vittoria Rossa Argento.

La madre è l'attrice fiorentina Daria Nicolodi a anche la sorella Fiore è un'apprezzata attrice. Sembra quindi naturale che anche Asia abbia scelto di percorrere le poco facili strade del cinema. Fa il suo precoce esordio a soli nove anni nel film per la televisione "Sogni e bisogni" (1984), diretto da Sergio Citti.

Quattro anni più tardi Asia - ha a solo 13 anni - ha già un ruolo da protagonista nel film "Zoo" (1988) per la regia di Cristina Comencini, figlia - anche lei d'arte - di Luigi Comencini. L'anno successivo Nanni Moretti sceglie Asia Argento per la parte in "Palombella rossa" della figlia del suo alter ego, Michele Apicella.

Insieme al padre Dario lavora in quattro film horror, genere che l'ha reso famoso. Asia è nel cast de "La chiesa" di Michele Soavi (1989), scritto e prodotto ma non girato da Dario Argento. Gli altri tre film sono diretti dal padre: "Trauma" (1993), "La sindrome di Stendhal" (1996) e "Il fantasma dell'Opera" (1998).

Sono le esperienze con gli altri registi a far affermare Asia sul grande schermo. Tra le sue prove migliori vi è "Le amiche del cuore" (1992) di Michele Placido, film con il quale Asia ottiene molti consensi nel ruolo della cupa e sensibile Simona, succube del padre incestuoso. Carlo Verdone la vuole in "Perdiamoci di vista" (1994): con questo film ottiene due premi importanti, il David di Donatello e il Ciak d'Oro, nel ruolo di Arianna, la ragazza paraplegica dotata di prorompente vitalità che smaschera le mire di un conduttore televisivo alla ricerca di casi umani per creare audience.

Nel 1996 ottiene il suo secondo David di Donatello per il film "Compagna di viaggio" di Peter Del Monte; Asia interpreta Cora, incaricata di pedinare un anziano e stralunato vagabondo attraverso l'Italia.

Appare poi nel brillante ruolo di una rapinatrice in "Viola bacia tutti" (1997) di Giovanni Veronesi.

La sua carriera internazionale inizia nel film "New Rose Hotel" (1998) del regista americano Abel Ferrara. Da qui in poi Asia Argento lavorerà soprattutto all'estero; in Francia partecipa all'ennesima edizione de "I miserabili", diretta da Josée Dayan, interpretando il ruolo della sventurata Eponine. Poi vola negli USA dove appare nel film d'azione "XxX", di Rob Cohen.

Nel 1994 decide di provare a lavorare come il padre dietro la cinepresa: debutta con il cortometraggio "Prospettive", inserito nel collettivo DeGenerazione, poi nel video "La tua lingua sul mio cuore" presentato al Festival di Locarno del 1999.

"Scarlet Diva" è il suo primo lungometraggio, del 2000: Asia dimostra qui una buona dimestichezza nel manovrare la macchina da presa, anche se il film non ottiene il successo inizialmente sperato.

Quattro anni più tardi dirige "Ingannevole è il cuore più di ogni cosa", girato negli USA.

Nel 2005 è nel cast del film "Last Days", di Gus Van Sant.

Asia Argento è anche scrittrice di racconti e poesie, cantante new age e regista di alcuni videoclip musicali per la cantante italiana Loredana Bertè.

Nella vita è stata compagna di Marco Castoldi, in arte Morgan, conosciuto anche come cantante della band rock-psychedelic "Bluvertigo". Insieme nel 2001 hanno avuto una figlia, Anna Lou.

2. Biografia di Loredana Berté

Una per cui la guerra non è mai finita
20 settembre 1950

Chi è Loredana Berte?


Non è una signora, è costantemente depressa e in lotta con il mondo, difficile da gestire e aliena dai compromessi. Un ritrattino così si addice, nel nostro paese, solo ad una persona e ad una e una sola cantante. Parliamo della rockstar nostrana par excellence, sua maestà Loredana Bertè. Che, nata il 20 settembre 1950 a Bagnara Calabra, da quel piccolo paesino è partita alla conquista del trono della musica leggera italiana, perlomeno in ambito femminile. La sua è una famiglia tutta al femminile, composta da ben quattro sorelle, di cui una, Domenica, diventerà famosa con lo pseudonimo di Mia Martini.

E' alla metà degli anni '60 che Loredana comincia a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo e precisamente dal "Piper", la famosa discoteca romana che per un periodo l'ha vista stranamente protagonista. Lei, così ribelle e selvaggia, in mezzo a tutti quei figli di papà, fianco a fianco alla "decadente" Nicoletta Strambelli, alias Patty Pravo? Per carità, quella non poteva che essere un'esperienza fatalmente breve.

E così, conosciuto nel frattempo un altro outsider come Renato Zero, comincia pian piano a salire i gradini della fama. Scelti entrambi da Don Lurio, fanno parte dei cosiddetti "Collettoni" di Rita Pavone nelle sue trasmissioni televisive, poi è la volta del musical: prima "Orfeo 9" di Tito Schipa Jr., poi sempre insieme nella allora scandalosa versione italiana di "Hair", storico musical dai temi scottanti in quel periodo, tra cui la guerra del Vietnam. Ma il talento di Loredana Bertè è nella musica, e nel 1974 esce il suo primo album: è subito scandalo, perché Loredana coi benpensanti ci dovrà combattere per un bel po'... "Streaking" è il titolo e Loredana appare nuda in copertina. E' solo la prima di una lunga serie di censure: la copertina viene cambiata, ma incontra ugualmente l'ostracismo dell'allora radio pubblica, poco incline a trasmettere canzoni dai testi forti.

Il vero exploit di Loredana Berté avviene l'anno dopo, nel 1975: il singolo "Sei bellissima" ottiene un grande successo e a tutt'oggi è considerato - con merito - un classico della musica italiana. Il brano viene incluso nell'album "Normale o Super" del 1976; nel 1977 esce "T.I.R.", il suo terzo LP.

Nonostante la produzione artistica di Mario Lavezzi che sarà suo compagno di lavoro e nella vita per diversi anni, e nonostante un certo già visibile impegno sia musicale sia nei testi, la vera consacrazione di Loredana Bertè cantante e interprete arriva però nel 1978 con la pubblicazione di un 45 giri firmato Ivano Fossati, esordiente autore nonché componente di un gruppo per i tempi un po' underground, "I Delirium", dal titolo "Dedicato". Per alcuni una sorta di manifesto politico, per Loredana un pezzo storico tra i più amati da lei stessa.

La canzone farà parte di un album splendido, "BandaBertè" (1979) che confermerà Loredana come una delle protagoniste del panorama rock italiano e che vedrà al suo interno collaborazioni prestigiosissime: oltre al già menzionato Ivano Fossati, Pino Daniele, Alberto Radius, la coppia Battisti-Mogol, Avogadro, Lavezzi, ecc. "...e la luna bussò" è la track più famosa dell'album e altro pezzo storico del repertorio di Loredana, prima e forse unica cantante ad usare sonorità reggae in Italia.

Le grandi collaborazioni nei successivi album e negli anni a seguire saranno numerosissime. Da Ron a Renato Zero, da Mia Martini a Gianni Bella fino a Enrico Ruggeri ("Il mare d'inverno"), al compositore brasiliano Djavan, a Bruno Lauzi, a Corrado Rustici, e tanti altri.

Nel 1980 è la volta di "Loredanaberte" con il trascinante pezzo da traino "In alto mare" e poi si riconferma grandissima due anni dopo con l'enorme successo di "Non sono una signora", sigillato dalla vittoria al Festivalbar. "Traslocando", l'album successivo, è uno del suoi dischi più belli e intensi.

Questo è il vertice assoluto della tenebrosa cantante, da cui non poteva che seguire un declino - seppur breve - segnato da vari tentativi per tornare alla ribalta (come il finto pancione esibito ad un'edizione sanremese).

Nel 1989 si materializza invece lo spettro della disperazione e della depressione nella figura del tennista Bjorn Borg: una storia d'amore totale che ha rischiato di distruggere psicologimante, soprattutto dopo l'abbandono di lui, la Loredana nazionale. Ne è un simbolo l'aggressivo e amaro singolo "Amici non ne ho", un brano che dice tutto circa la sua situazione esistenziale (nemmeno mitigata dai pur lievi tratti ironici). I drammi di casa Bertè, però, non dovevano finire qui. Nel maggio 1995 scompare l'amata-odiata sorella, quella Mia Martini che si è sempre intestardita a cercare un successo tutto personale, lontano dall'ombra dell'ingombrante parente. La tragedia segna profondamente la già provata cantante.

L'attività musicale di Loredana comunque non si ferma. Nell'album che segue, "Ufficialmente dispersi", Loredana debutta come autrice dei testi.

Gli album "Un pettirosso da combattimento" e "Decisamente Loredana" contengono pezzi autobiografici che svelano appieno l'ultima Bertè.

A partire dal 1998 c'è una brusca fermata, forse una pausa di riflessione per ritrovare se stessa. Sarà la 52ma edizione del Festival di Sanremo a restituirla ai suoi fans i quali, prontamente, la rimettono su quel trono da cui, in realtà, non è mai scesa.

Il 2004 ha rilanciato Loredana Berté con la trasmissione tv "Musicfarm"; inoltre la sua "In alto mare" è stata ripresa e remixata per comporre "Waves of luv", uno dei tanti tormentoni estivi che hanno infiammato le discoteche italiane.

Partecipa a Sanremo 2008 e scoppia un caso: il brano che presenta, e che si intitola "Musica e parole", è in realtà "Ultimo segreto", brano cantato da Ornella Ventura vent'anni prima, nel 1988, e prodotto da Tullio De Piscopo insieme ad Alberto Radius, che è anche l'autore. Radius, storico leader dei Formula Tre, è però anche l'autore di "Musica e parole": scoppia quindi un singolare episodio di "autoplagio" che porta alla squalifica di Loredana Berté dalla gara.

Torna sul palco di Sanremo 2012 con il brano "Respirare" scritto e con lei cantato da Gigi D'Alessio.

3. Biografia di Andrea Berton

Scalate al successo culinario
20 settembre 1970

Chi è Andrea Berton?


Andrea Berton nasce il 20 settembre 1970 a San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, ma cresce a San Daniele del Friuli, la terra del prosciutto crudo. Sin da bambino si appassiona alla cucina, osservando la madre dietro ai fornelli. Conseguito il diploma di maturità alberghiera, ha l'opportunità di lavorare a Milano con Gualtiero Marchesi, e più tardi a Firenze, all'"Enoteca Pinchiorri", insieme con Carlo Cracco.

Dopo un breve passaggio a Montecarlo alla corte di Alan Ducasse, Berton torna in Italia, a Erbusco, nuovamente insieme con Marchesi. Poco dopo, spicca il volo, aprendo il "Trussardi alla Scala", ristorante a cinque stelle nel pieno centro di Milano. A marzo del 2012, la sua esperienza nel ristorante di Trussardi termina, e il locale viene affidato a Bobo Enrico Cerea, i fratelli proprietari del ristorante tre stelle Michelin Da Vittorio, a Brusaporto.

Autore di una cucina raffinata e complessa dal punto di vista intellettuale, Andrea Berton eredita una piccola porzione di stile da ciascuno dei suoi maestri. Nel corso della sua carriera, Berton ha raggiunto il prestigioso traguardo delle due stelle Michelin in due anni consecutivi, 2008 e 2009, come in precedenza era riuscito solo a Gualtiero Marchesi, nel 1977 e nel 1978, proprio in Bonvesin della Riva, dove il cuoco friulano è cresciuto.

Nel suo curriculum figurano anche esperienze da "Mossiman's", a Londra, e alla "Taverna" di Colloredo di Montalbano (esperienza, quest'ultima, impreziosita dalla conquista di una stella Michelin).

4. Biografia di Robert Emmet

Epitaffio per un martire
4 marzo 1778
20 settembre 1803

Chi è Robert Emmet?


E' un'Irlanda martoriata dalle Penal Lows - introdotte da Giacomo II d'Orange nella seconda metà del Seicento - e pervasa da un diffuso e mai domo spirito rivoluzionario quella che accoglie il piccolo Robert Emmet, venuto al mondo il 4 marzo del 1778, a Clonakilty, contea di Cork, nell'estremo sud dell'isola.

E' un'Irlanda espropriata dei suoi beni, nella quale la stragrande maggioranza dei proprietari terrieri è inglese, ed oltre la metà dei contadini vive in condizioni disumane dibattendosi tra fame e malattie; il sovrano in carica, Giorgio III, favorisce nell'isola il dominio dei protestanti fino a giungere, nel 1800, all'abolizione del Parlamento irlandese varando il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.

Robert Emmet cresce dunque nutrendosi di sentimenti patriottici ed antibritannici, e comincia presto ad occuparsi di politica manifestando notevoli doti oratorie e carismatiche. Nel 1798 viene espulso dal college nel quale studia per aver aderito ed essere divenuto segretario della Società degli Irlandesi Uniti (Society of United Irishmen), un'organizzazione semi-clandestina rivoluzionaria e repubblicana, propugnatrice dell'emancipazione dei cattolici e dell'indipendenza dell'Irlanda. Ma il vento delle rivoluzioni francese ed americana spira ormai forte, ed i nazionalisti irlandesi ne sono investiti in pieno.

Nella primavera dell'anno successivo, inseguito da un mandato di cattura, ripara a Parigi dove, tre anni dopo, riesce ad incontrare Napoleone e Talleyrand che lo mettono a parte del progetto di una imminente invasione dell'Inghilterra. Torna a Dublino alla fine del 1802 e comincia ad organizzare l'insurrezione da affiancare all'attacco francese.

Nel corso dei preparativi, però, si rende conto che il movimento insurrezionale si va indebolendo: l'esplosione accidentale di una bomba in uno dei depositi clandestini di armi è l'elemento che lo induce a non attendere oltre anticipando la data della rivolta senza attendere la Francia. Ma l'impresa è fallimentare, tanto da essere ricordata come una "piccola ribellione". I moti, esplosi il 23 luglio 1803, causano la morte del viceré lord Arthur Wolfe Kilwarden e di suo nipote. Ma nella nottata le forze governative riescono a sedare la rivolta disperdendo gli ormai pochi e sfiduciati ribelli. Emmet ha soltanto 25 anni, e probabilmente l'impulsività della giovane età contribuisce all'insuccesso della rivolta; ma le imprese che compie sono certamente degne dei più navigati uomini d'azione. Catturato, viene processato e condannato a morte il 19 settembre. Subito dopo la lettura della condanna, Robert Emmet prende la parola e pronuncia un fiero e commovente discorso che resterà scolpito nella storia repubblicana dell'Irlanda.

Queste le sue ultime parole: "Gli uomini non scrivano il mio epitaffio… fino a quando altri tempi e altri uomini non potranno rendere giustizia al mio personaggio. Quando il mio paese avrà preso il suo posto tra le nazioni della terra, allora e solo allora, si scriva il mio epitaffio".

Il 20 settembre 1803, in Thomas Street, a Dublino, Robert Emmet viene impiccato e poi decapitato.

Alla sua straziante vicenda umana appartiene anche la struggente storia d'amore, tutta epistolare, con Sarah Curran, anch'essa morta giovanissima di tubercolosi, due anni dopo Emmet. La storia di Robert e Sarah ha ispirato, negli anni, poeti, letterati e registi.

5. Biografia di Theodor Fontane

30 dicembre 1819
20 settembre 1898

Chi è Theodor Fontane?


Heinrich Theodor Fontane nasce il 30 dicembre del 1819 a Neuruppin (Germania). Dopo aver frequentato la scuola tecnica a Berlino, nel 1835 incontra Emilie Rouanet-Kummer, colei che diventerà sua moglie; l'anno successivo interrompe gli studi tecnici e si dedica alla formazione da farmacista, iniziando poco dopo il praticantato vicino a Magdeburgo.

Nello stesso periodo scrive le sue prime poesie e pubblica "Geschwisterliebe", la sua prima novella. Nel 1841 deve fare i conti con una brutta malattia, il tifo, ma riesce a ristabilirsi a Letschin, presso la sua famiglia; proprio qui, lavorare nella farmacia del padre. Nel frattempo Bernhard von Lepel lo introduce in "Tunnel uber der Spree", circolo letterario che frequenterà per oltre vent'anni, mentre nel 1844 presta servizio militare.

Ottenuto, tre anni più tardi, il brevetto di farmacista di prima classe, combatte nella rivoluzione di marzo e scrive sulla "Berliner Zeitung-Halle". Alla fine degli anni Quaranta sceglie di abbandonare la farmacia in maniera definitiva per dedicarsi alla scrittura: "Dresdner Zeitung", foglio radicale, accoglie i suoi primi scritti politici. Tra il 1849 e il 1850 Fontane pubblica "Uomini ed eroi. Otto canti prussiani", il suo primo libro, e sposa Emilie, con la quale va a vivere a Berlino.

A dispetto degli iniziali problemi finanziari, Theodore Fontane riesce a risollevarsi dopo aver trovato lavoro presso la "Centralstelle fur pressangelegenheiten". Trasferitosi a Londra, entra in contatto con i Preraffaelliti, movimento artistico che fa conoscere ai lettori dei suoi "Englischer Artikel"; poi, torna in patria con il cambio di governo prussiano. Si dedica, quindi, alla letteratura dei viaggi, che sta conoscendo un'esplosione notevole in quel periodo.

Nel 1861, dai suoi articoli nasce "La contea di Ruppin", libretto che viene seguito l'anno dopo da una seconda edizione dotata del sovratitolo "Viaggio nel Magdeburgo". Entrato nella redazione della "Neuen Preussischen (Kreuz-) Zeitung", foglio conservatore e reazionario fondato, tra gli altri, da Bismarck, si sposta in Danimarca per parlare della guerra del 1864, per poi tornare a Berlino. Recatosi a Parigi durante la guerra franco-prussiana, viene arrestato per spionaggio: ma, una volta verificata l'inconsistenza dell'accusa, viene rilasciato dopo un intervento di Bismarck.

Seguono anni in cui Theodore Fontane viaggia tra l'Italia, l'Austria e la Svizzera. Terminate le peregrinazioni nel sud Europa, egli decide di vivere come libero scrittore, abbandonando la stampa periodica: nel 1876 viene nominato segretario dell'Accademia di Belle Arti di Berlino, anche se lascia l'incarico poco tempo dopo. Colpito da una grave ischemia cerebrale nel 1892, riceve dal proprio medico il consiglio di raccontare i suoi ricordi infantili in forma scritta: in questo modo Fontane riesce a rimettersi dalla malattia, e ha modo di realizzare il romanzo "Effi Briest" e la sua autobiografia "Da venti a trenta".

Dopo aver perso il suo primo figlio George, nel 1897, Theodor Fontane muore a Berlino il 20 settembre del 1898 all'età di 79 anni: il suo corpo viene sepolto nel cimitero della Chiesa riformata francese di Berlino.

6. Biografia di Sophia Loren

Ciociara internazionale
20 settembre 1934

Chi è Sophia Loren?


La celebre diva italiana, nata a Roma il 20 settembre 1934 ma cresciuta a Pozzuoli, vicino a Napoli, prima di sfondare nel mondo del cinema ha intrapreso tutte le strade classiche di chi tenta la scalata al successo.

Partecipa a concorsi di bellezza, recita nei fotoromanzi e in piccole parti cinematografiche con lo pseudonimo di Sofia Lazzaro. Sul set di "Africa sotto i mari" (Giovanni Roccardi, 1952) viene notata da Carlo Ponti, suo futuro marito, che le propone un contratto di sette anni.

Inizia così una carriera cinematografica che sulle prime la vede recitare in parti di popolana, come ad esempio in "Carosello napoletano" (1953) di Ettore Giannini, "L'oro di Napoli" (1954) di Vittorio De Sica e "La bella mugnaia" (1955) di Mario Camerini, e poi a Hollywood al fianco di star come Cary Grant, Marlon Brando, William Holden e Clark Gable.

Raggiunge presto la fama mondiale anche grazie alla sua prorompente bellezza che a stento lascia indifferenti. Sophia Loren si è imposta anche per via della sua indubitabile bravura, e questo è uno dei motivi per cui non è mai tramontata. Non solo è divenuta una vera e propria icona ma ha anche ottenuto alcuni tra i premi più ambiti del settore: la Coppa Volpi nel 1958 per "Orchidea nera" di Martin Ritt e l'Oscar e il premio per la migliore interpretazione a Cannes per "La ciociara" (1960) di Vittorio De Sica.

Nel 1991 ha ricevuto in un colpo solo l'Oscar, il César alla carriera e la Legion d'Onore. Niente male per una che veniva accusata di saper sostenere solo i ruoli di popolana.

Ad ogni modo, dopo i fasti hollywoodiani del suo periodo aureo (quello legato inevitabilmente alla giovinezza e all'età di mezzo), dal 1980 si è parzialmente ritirata dai set cinematografici, dedicandosi prevalentemente alla televisione. Ha così interpretato, tra gli altri, il biografico "Sophia: la sua storia" di Mel Stuart e il remake di "La ciociara" (Dino Risi, 1989).

Nel corso della sua lunghissima carriera è stata diretta, a maggior gloria dell'immagine italiana nel mondo, dai più importanti registi, tra i quali ricordiamo Sidney Lumet, George Cukor, Michael Curtiz, Anthony Mann, Charles Chaplin, Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola, André Cayatte. I critici sono però concordi nel ritenere che fu con Vittorio De Sica (con il quale girò otto film), che formò un ideale sodalizio, spesso completato dalla indimenticabile presenza di Marcello Mastroianni.

7. Biografia di George R. R. Martin

20 settembre 1948

Chi è George R. R. Martin?


George Raymond Martin, autore e scrittore, mente fantasiosa e prolifica, autore della celebre saga del "Trono di Spade" (Game of Thrones) nasce nel New Jersey, a Bayonne, il 20 settembre del 1948, figlio di Raymond, un operaio portuale, e di Margaret.

Cresciuto in un quartiere popolare non lontano dall'approdo cittadino, frequenta la Mary Jane Donohoe School; preso il nome Richard da cresimato a tredici anni, studia poi presso la Marist High School, dove ha modo di mettere in mostra il proprio talento nell'ambito della scrittura.

Sin da ragazzo è animato da una grande fantasia: scrive e vende per pochi penny storie dell'orrore che vengono acquistate dai figli dei suoi vicini di casa, e si appassiona alla lettura dei libri di Andre Norton, Eric Frank Russell e Robert A. Heinlein. Durante le superiori, inoltre, si avvicina ai fumetti, diventandone un cultore e collezionista.

Dopo gli studi, le prime collaborazioni

È proprio nel settore dei fumetti che prendono il via le sue prime collaborazioni. Nel 1970 Martin si laurea con il massimo dei voti alla Northwestern University di Evanston, nell'Illinois, in giornalismo, e vende alla rivista "Galaxy" un suo racconto, intitolato "The hero", che viene pubblicato l'anno seguente.

Durante la guerra del Vietnam, tra il 1972 e il 1974, egli diviene obiettore di coscienza presso un'associazione, il Vista, che fa capo alla Fondazione di Assistenza Legale della Contea di Cook. Dopo avere diretto numerosi tornei di scacchi, nel 1975 si sposa con Gale Burnick e conquista il Premio Hugo per "Canzone per Lya", che viene eletto migliore racconto dell'anno; a partire dall'anno seguente, invece, insegna giornalismo nello Iowa, presso il Clarke College di Dubuque.

Dedizione completa alla scrittura

Nel 1979 divorzia dalla moglie e abbandona definitivamente l'insegnamento per dedicarsi completamente alla carriera letteraria.

Mentre il numero di premi aumenta (per "Re della sabbia" vince il Premio Nebula per il migliore racconto breve), scrive nel 1980 il romanzo "Il pianeta dei venti", cui fanno seguito nel 1982 "Il battello del delirio", nel 1983 "Armageddon Rag" e, dal 1986, la serie di "Wild Cards", nel quale viene immaginata una realtà supereroistica.

Tentando la fortuna a Hollywood

Le opere di George R. R. Martin attirano l'attenzione degli appassionati di genere, ma - fino a questo momento - non riescono ad appassionare il grande pubblico: è anche per questo motivo che nella seconda metà degli anni Ottanta si trasferisce a Hollywood per lavorare come sviluppatore e sceneggiatore di diverse serie tv per la Cbs.

È sceneggiatore, per esempio, di "Ai confini della realtà", oltre che consulente delle sceneggiature di "La bella e la bestia", di cui è pure produttore: partecipa alla scrittura, tra gli altri, degli episodi "Terrible saviour. Angeli e demoni" e "Ozymandias. Allarme nel sottosuolo" della prima stagione, e "Dead of winter. Morire d'inverno" della seconda stagione.

Per la Columbia Pictures Television lavora come sceneggiatore e produttore esecutivo di "Doorways", ma nel 1991 decide di ritornare alla carriera letteraria lasciando Hollywood e i limiti imposti dalle grandi case di produzione. Comincia, quindi, a scrivere quella che sarebbe diventata la serie "Cronache del ghiaccio e del fuoco" (titolo originale: "A song of ice and fire"), serie fantasy ispirata a "Ivanhoe" (romanzo storico di Walter Scott) e alla Guerra delle Due Rose.

Il successo planetario del "Trono di spade"

Il primo dei sette volumi che fanno parte della serie si chiama "A Game of Thrones" (in Italia viene suddiviso in due libri, "Il trono di spade" e "Il grande inverno"), e viene pubblicato nel 1996. Tra gli altri libri di successo, spicca "A feast for crows" (in Italia suddiviso in "Il dominio della regina" e "L'ombra della profezia"), che nel novembre del 2005 raggiunge il primo posto nelle classifiche di vendita.

Si tratta del quarto romanzo della saga, che viene seguito da "A dance with dragons" (in Italia, distribuito nella trilogia "I guerrieri del ghiaccio", "I fuochi di Valyria" e "La danza dei draghi"), che è dato alle stampe nell'estate del 2011.

Nel frattempo, la HBO Productions, casa di produzione televisiva statunitense, che nel 2007 aveva comprato i diritti tv per tutti i libri delle "Cronache del ghiaccio e del fuoco", dà il via alle riprese di "A game of thrones", serie tv ispirata ai romanzi.

George R. R. Martin, produttore esecutivo del telefilm, partecipa direttamente alla sceneggiatura. La serie esordisce sulla HBO, canale via cavo americano, il 17 aprile del 2011, e in poco tempo raggiunge un successo notevole in tutto il mondo: la prima stagione conquista ben tredici candidature agli Emmy Awards, ottenendone due.

Nel giro di breve tempo, "A game of thrones" di George R. R. Martin, complice la diffusione televisiva, assume i caratteri di un fenomeno di culto non solo negli Usa, ma anche nel resto del mondo.

8. Biografia di Mia Martini

Un lungo saliscendi ricco di emozioni
20 settembre 1947
12 maggio 1995

Chi è Mia Martini?


Voce italiana tra le più belle, scomparsa in circostanze mai del tutto chiarite, Domenica Berté, in arte Mia Martini, nasce a Bagnara Calabra, in provincia di Reggio Calabria, il 20 settembre 1947, secondogenita di quattro figlie. Tra queste, c'è anche Loredana Berté, anche lei cantante italiana molto apprezzata.

L'infanzia e la prima gioventù sono già all'insegna della musica. La piccola Domenica trascorre i suoi primi anni a Porto Recanati ma ci mette poco a convincere la mamma, Maria Salvina Dato, a portarla a Milano, in cerca di fortuna nel mondo della musica. Qui, nel 1962, incontra il discografico Carlo Alberto Rossi e diventa una "ragazza ye-ye", ossia una corista per brani twist e rock del periodo. Ma la cantante calabrese già a quell'età si ispira ad Aretha Franklin e il noto produttore la lancia con il suo primo 45 giri, nel 1963, con il nome d'arte di Mimì Berté. L'anno dopo, vince il Festival di Bellaria e si impone anche alla stampa come promettente interprete, grazie al brano "Il magone". Questa piccola ribalta però, dura poco. Nel 1969 la futura Mia Martini si trasferisce a Roma, insieme con la madre e le sorelle. Conosce Renato Fiacchini, anche lui aspirante cantante non ancora "diventato" Renato Zero, e con la sorella Loredana si guadagna da vivere in diversi modi, non rinunciando al sogno della musica. È un momento delicato della sua vita, uno dei tanti. A confermarlo, sempre nel 1969, l'arresto per possesso di droghe leggere e i conseguenti quattro mesi di carcere a Tempio Pausania.

L'incontro decisivo però, arriva nel 1970. Il fondatore dello storico locale Piper, Alberigo Crocetta, la proietta in un orizzonte internazionale, lanciandola al grande pubblico. Mimì Berté diventa Mia Martini e la giovane e ribelle cantante calabrese trova la sua dimensione, in un look e un bagaglio artistico più vicino alla sua identità. "Padre davvero" è il primo brano a nome Mia Martini ed esce già nel 1971, per la Rca Italiana. La Rai ci mette poco a censurarlo: l'argomento è quello di una figlia che si ribella al padre violento. Ciononostante, la canzone vince il Festival di Musica d'Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio. Sul retro di questo primo 45 giri c'è anche "Amore... amore... un corno", altro brano di rottura scritto da un giovane Claudio Baglioni.

Nel novembre sempre del 1971 esce l'album "Oltre la collina", uno dei migliori della cantante, il quale affronta temi come la disperazione e il suicidio. Anche in questo lavoro trova spazio il giovanissimo Baglioni, in un paio di brani, mentre Lucio Battisti, attratto dalla sorprendente vocalità della "zingaresca" cantante, la vuole in Tv nello speciale "Tutti insieme". Qui, Mia Martini canta "Padre davvero", senza alcuna censura. La consacrazione è dietro l'angolo.

Nel 1972 la secondogenita dei Berté segue Alberigo Crocetta alla Ricordi di Milano, dove incide "Piccolo uomo", che si rivela un grande successo. Il testo è di Bruno Lauzi e l'interpretazione è magistrale, tanto che vince il Festivalbar di quell'anno. Esce l'album "Nel Mondo", in cui figura anche il grande Vinicius De Moraes, e riceve il Premio dalla Critica come miglior LP del 1972.

Proprio la critica fino agli anni '80 è sempre dalla sua parte, riconoscendole un valore e una forza innovativa che non ha eguali in Italia. Lo conferma il Premio della Critica che vince proprio nel 1982 al Festival di Sanremo, il quale viene creato appositamente per quell'edizione con il fine di assegnarle un riconoscimento e che, dal 1996, si chiama "Premio Mia Martini".

Ma è il 1973 l'anno del capolavoro. "Minuetto", firmato Franco Califano e Dario Baldan Bembo, è in assoluto il suo 45 giri più venduto. Con il brano vince di nuovo il Festivalbar, a pari merito con Marcella Bella. Da questo momento, i suoi dischi e brani vengono tradotti anche all'estero, Germania, Spagna e Francia, soprattutto. Oltralpe, la paragonano alla leggendaria Edith Piaf. La critica europea nel 1974 la considera la cantante dell'anno e con "È proprio come vivere", Mia Martini vince il Disco d'oro: un milione di dischi venduti negli ultimi tre anni. L'anno dopo, nel 1975, la Rai le tributa il dovuto, con lo special "Mia", in cui figurano anche Lino Capolicchio e Gabriella Ferri.

Registra la cover "Donna con te", che spopola in classifica e il referendum "Vota la voce", indetto dal settimanale Tv Sorrisi e Canzoni, la proclama cantante donna dell'anno. Sono anni di grande successo commerciale, accompagnati però da interpretazioni che la cantante esegue soprattutto per oneri contrattuali. Il matrimonio con la Ricordi si rompe ma la casa milanese cita in tribunale Mia Martini, che avrebbe sciolto in anticipo il contratto, e ottiene il sequestro di beni e guadagni, oltre al pagamento di un'altissima penale.

Passa alla Rca, e incide "Che vuoi che sia… se t'ho aspettato tanto". L'album accoglie altri autori non ancora celebri, come Amedeo Minghi e Pino Mango, mentre gli arrangiamenti sono di Luis Enriquez Bacalov. In Francia, il famoso cantautore e attore francese Charles Aznavour la nota e la vuole con sé in un grande recital all'Olympia di Parigi, tempio sacro della musica in Francia. Lo spettacolo viene bissato al Sistina di Roma e nel 1977 Mia Martini viene scelta per rappresentare l'Italia all'Eurofestival con la canzone "Libera". Si piazza tredicesima in classifica, ma il singolo viene tradotto quasi in tutto il mondo.

Sono gli anni della relazione con il cantante Ivano Fossati, di cui si innamora durante la registrazione del disco "Per amarti", in cui è presente il brano "Ritratto di donna", che vince il premio della critica al World Popular Song Festival Yamaha di Tokyo. Con Fossati, Mia Martini passa all'etichetta Warner e pubblica i dischi "Vola" e l'ottimo "Danza", del 1979, che contiene i successi firmati dal cantautore "Canto alla luna" e "La costruzione di un amore".

Nel 1981 si opera alla corde vocali, vedendo modificato il suo timbro verso un tono più roco. È una cantautrice adesso e l'album "Mimì", arrangiato dall'ex Blood Sweet and Tears, Dick Halligan, propone dieci brani quasi interamente autografi. Nel 1982 partecipa per la prima volta a Sanremo con il brano scritto da Ivano Fossati "E non finisce mica il cielo", che inaugura il Premio della Critica. Sempre nello stesso anno, realizza "Quante volte", arrangiato da Shel Shapiro, che ottiene un grande successo anche all'estero.

Il 1983 è l'anno del suo ritiro dalla scene, causato da una diceria che legherebbe alla sua presenza eventi negativi e che da alcuni anni si porta dietro. Il silenzio dura fino al 1989, quando l'amico Renato Zero convince il direttore artistico del Festival di Sanremo, Adriano Aragozzini, a farla partecipare al famoso concorso canoro. Il brano "Almeno tu, nell'universo" è un successo e vince nuovamente il Premio della Critica. Sull'onda dell'entusiasmo, Mia Martini incide l'album "Martini Mia", per la casa Fonit Cetra. Il brano "Donna", firmato dal musicista Enzo Gragnaniello, va al Festivalbar e il disco si aggiudica il Disco d'oro, per le oltre 100.000 copie vendute. L'anno dopo, a Sanremo, il brano scritto da Franco Califano, "La nevicata del '56", vince il terzo Premio della critica.

Nel 1992 torna sul palco dell'Ariston con un altro successo, "Gli uomini non cambiano". Arriva seconda, dopo Luca Barbarossa. Nello stesso anno incide "Lacrime", che le dà l'ultimo Disco d'oro e viene scelta per rappresentare l'Italia all'Eurofestival, in Svezia, dove viene molto applaudita.

Sono gli anni in cui si riavvicina alla sorella Loredana Berté, dopo molti anni in cui i rapporti erano rimasti freddi e con lei, nel 1993, accetta di duettare a Sanremo. Il brano "Stiamo come stiamo" però, non sfonda. L'anno dopo, nel 1994, Mia Martini incide per la casa RTI Music "La musica che mi gira intorno", in cui canta cover scelte tra i repertori di cantanti come De André, De Gregori e Lucio Dalla. È, questo, solo uno dei suoi progetti dichiarati di reinterpretare canzoni di altri artisti, come Mina e Tom Waits. Il proposito però, non riesce ad avere un seguito.

Il 14 maggio del 1995, a quarantasette anni, Mia Martini viene ritrovata morta nel suo appartamento, a Cardano al Campo, Varese. Da mesi, la cantante soffriva di un fibroma all'utero, ed assumeva abbondanti dosi di farmaci anticoagulanti. Secondo la procura di Busto Arsizio però, sarebbe morta a causa di un arresto cardiaco, causato da un abuso di stupefacenti.

9. Biografia di Ernesto Teodoro Moneta

Apostolo della pace fra libere genti
20 settembre 1833
10 febbraio 1918

Chi è Ernesto Teodoro Moneta?


Ernesto Teodoro Moneta nasce a Milano il 20 settembre 1833. La sua famiglia appartiene alla più antica nobiltà milanese e da due generazioni è attiva nel commercio e nell'industria dei detersivi. La fabbrica di famiglia è stata fondata dal nonno a cui sopraggiunge il padre, Carlo Moneta. Il giovane Ernesto trascorre la sua adolescenza in un clima politicamente incandescente. In quegli anni, le continue rivolte sociali guidano e condizionano la vita degli individui, senza esclusione di alcuno. I moti e le rivolte sono indirizzati a quel sentimento di ribellione tipico di un popolo invaso che rivendica anche con l'uso delle armi, la propria indipendenza. La posta in gioco è alta e l'invasore austriaco dovrà "contrattare" una richiesta di indipendenza priva di compromessi.

Il padre e i fratelli combattono durante le Cinque Giornate di Milano. Ernesto ha soli 15 anni e gli orrori della guerra partigiana entrano nella sua giovane vita con tutta la loro durezza: la vista di alcuni uomini morenti e il rantolo che preannuncia la morte, verrà ricordato da Moneta come uno degli aspetti più drammatici della propria esistenza. Nel 1849 lascia il Liceo di Brera di Milano e si trasferisce a Torino per arruolarsi come volontario nell'esercito piemontese, che si preparava alla guerra contro gli austriaci, ma la domanda viene rifiutata per la sua giovane età (l'età minima per arruolarsi come volontario era fissata al tempo a 17 anni) perciò viene mandato a studiare alla scuola militare di Ivrea.

Nel 1855, all'età di 22 anni, Ernesto conferma il suo orientamento anti-austriaco e si unisce alla testata giornalistica "Unitari", organo che due anni più tardi arriverà a sostenere la "Società Nazionale Italiana" di Daniele Manin e Giorgio Pallavicini, promotori dell'Unità d'Italia. Il progetto della "Società Nazionale Italiana" beneficia del favore della monarchia sabauda di Vittorio Emanuele II. Nonostante la visione politica di Moneta non sia favorevole alla monarchia, la sua ammirazione per il progetto politico di Manin e Pallavicini, inducono Moneta a collaborare con "Il Piccolo Corriere d'Italia", organo ufficiale della Società Nazionale Italiana.

Nel 1859 Moneta si arruola tra le file garibaldine e diventa aiutante di campo del Generale Sirtori.

Negli anni successivi combatte valorosamente e ottiene i gradi di ufficiale; nel 1866, anno dell'infausta battaglia di Custoza (persa contro gli austriaci per mancanza di coordinazione dei due generali a capo dell'esercito, La Marmora e Cialdini), Moneta decide di porre fine alla sua carriera militare. Osserva che la guerra, oltre a versare fiumi di sangue, non porta nessun reale beneficio e benché meno è la soluzione ai problemi che si prefigge di risolvere. Nello stesso anno Moneta inizia a scrivere alcuni articoli per il quotidiano "Il Secolo". Un anno dopo, Edoardo Sonzogno, fondatore del giornale, propone a Moneta di diventarne il direttore. Dopo aver accettato la nomina di buon grado, nell'arco di pochi anni, il quotidiano aumenta la tiratura passando da 30.000 a 100.000 lettori. Il giornale contiene polemiche antimilitariste e articoli anticlericali. Si schiera spesso in favore di battaglie per la riqualifica sociale nel campo dell'istruzione obbligatoria e gratuita, in ambito sanitario e nelle questioni salariali.

In quegli anni nascono in Europa diverse associazioni di natura pacifista. Protagonisti sono Federico Pussy e Hodgson Pratt; lo scopo è l'istituzione di una corte d'arbitrato che risolva i conflitti internazionali facendo ricorso al diritto e non alla violenza. Dopo alcuni tentativi di creare una Società per la Pace in Italia, nel 1887, si costituisce a Milano la cosiddetta "Unione Lombarda per la Pace e l'Arbitrato" , poi "Società per la Pace e la Giustizia Internazionale", alla cui fondazione Moneta collabora, seppure non in forma ufficiale, offrendo il suo maggiore contributo. E' in questi anni che Moneta passa gradualmente dall'attività di giornalista a quella di diffusore di idee pacifiste.

Moneta contrasta apertamente la politica colonialista dell'allora Capo del Governo Francesco Crispi; considera la politica contro la Francia un grosso errore (la formazione della Triplice alleanza che vedeva Italia, Germania e Austria alleate, era stato il pretesto per una rottura dei rapporti con la Francia), tant'è che tra il 1888 e 1889 inonda l'Italia di opuscoli informativi per indurre i cittadini a schierarsi contro una possibile entrata in guerra del Paese.

"Nella gallofobia", scrive nei suoi articoli, "predominano sentimenti ignobili e vili"; sulla testata "Il Secolo" pubblica una lettera intitolata "Avremo guerra o primavera?" dove sono evidenti i riferimenti alla politica aggressiva verso la Francia inaugurata da Crispi. Il suo impegno e il suo attivismo per evitare la guerra fra i due paesi verranno riconosciuti quando nel 1903 si raggiunge finalmente un accordo franco-italiano. Si registrano dichiarazioni ufficiali di riconoscenza per Moneta da parte dei rappresentanti dei due stati.

Tornando al 1889, a Roma si svolge il primo Congresso Internazionale della pace al quale partecipano 37 istituzioni e 90 congressisti oltre ad una buona rappresentanza del governo; Moneta ha l'onore di essere il primo relatore. Incentra il suo discorso sul tema "Del disarmo e dei modi pratici per conseguirlo per opera dei governi e dei parlamenti".

Nel 1890 fonda l'"Almanacco della Pace", un giornale che, oltre alle vignette umoristiche ispirate agli orrori della guerra, riporta gli aggiornamenti dei frequenti congressi sulla pace nazionali e internazionali. Grazie anche alla collaborazione di numerosi artisti e letterati, il giornale raggiunge in pochi anni la tiratura di 40.000 copie. Moneta non contiene il suo sdegno per la politica di conquista di Crispi in quegli anni in Africa, pubblicando un manifesto che esorta gli italiani a ribellarsi alle conquiste coloniali.

Nel 1896, dopo 29 anni di intensa attività, lascia la direzione de "Il Secolo", e nel 1898 fonda il nuovo periodico quindicinale: "La vita Internazionale" che diventa subito l'organo ufficiale dell'"Unione Lombarda". Alcuni articoli della rivista, saranno poi riuniti nel compendio "Le guerre, le insurrezioni e la pace nel secolo XIX" redatto in quattro volumi, rispettivamente pubblicati nel 1903, 1904, 1906 e 1910. Quest'ultimo è un trattato accurato e completo sulle guerre avvenute nel 1800 e sul movimento pacifista formatosi parallelamente.

Nel 1904 è presidente del Primo Congresso Nazionale della Pace a Torino e, nello stesso anno, è vice-presidente al XIII Congresso Universale della Pace di Boston. Nel 1906 organizza un "padiglione per la pace" all'Esposizione Internazionale di Milano, in occasione dell'inaugurazione del traforo del Sempione. Il padiglione dà rilievo a una grande raccolta di firme che operano per la causa della pace; tra le più importanti quelle di Cavour, Mazzini e Hugo.

Nel 1907 Moneta partecipa al XVI Congresso Universale a Monaco di Baviera; nello stesso anno è nominato presidente del Consiglio Direttivo della Federazione delle Società Italiane della Pace, costituitasi durante il III Congresso Nazionale a Perugia. Per il suo meritevole lavoro e attivismo contro la guerra e per le sue innumerevoli azioni volte alla creazione di un movimento pacifista internazionale, il 10 dicembre del 1907, Moneta riceve il rinomato Nobel per la Pace. Il Premio, oltre a costituire un riconoscimento universale per ciò che ha fatto, è accompagnato da un assegno di 95.000 lire. Moneta non trattiene per sé alcunché e versa interamente il premio nelle casse dell'Unione Lombarda; per l'occasione, l'Unione, delibera la fondazione di un Premio Moneta (una grande medaglia d'oro con l'effigie di Moneta), da conferire a coloro che si fossero distinti nel sostegno offerto alla causa della pace in Italia.

Nel 1909 si reca in Norvegia, dove nel salone dell'Istituto Nobel per la Pace di Cristiana (Oslo), svolge una lunga conferenza sul tema "Pace e diritto nella tradizione italiana". Il pacifismo di Moneta non è "assoluto" come quello di Tolstoj per il quale "pacifismo" era sinonimo di non uccidere, in nessun caso. Moneta ha in mente dei metodi ben precisi per realizzare i suoi progetti di pace internazionale:

1-DISARMO: scioglimento degli eserciti permanenti e formazione di una "Nazione armata". Insegnare a difendere la patria ai ragazzi nelle scuole, ma senza una leva obbligatoria, riducendo perciò le ingenti spese della guerra, e favorire investimenti in cultura e istruzione;

2-ARBITRATO INTERNAZIONALE: formazione di un'organizzazione che gestisce le ostilità fra stati membri.

3-FEDERAZIONE: come esempio Moneta usava i cantoni svizzeri, sottolineando come in passato avessero risolto i loro conflitti unendosi in un unica nazione, nonostante esistessero nella nazione elvetica varie barriere linguistiche e culturali. Questo modello, secondo Moneta, esteso all'Europa, avrebbe scongiurato un'eventuale guerra in Europa.

Nel 1911 contro la Turchia e nel 1914 in occasione del primo conflitto mondiale, Moneta si schiera a favore dell'entrata in guerra dell'Italia; in previsione di un assetto stabile di un Europa confederata, egli considera le guerre di quegli anni come facenti parte di un grande progetto pacifista. Inevitabilmente il suo appoggio all'entrata in guerra dell'Italia non mancò di creare amarezze e incomprensioni tra i rappresentanti delle diverse correnti pacifiste europee.

Negli ultimi anni di vita Moneta soffre di glaucoma e subisce numerosi interventi agli occhi. Muore di polmonite il 10 febbraio 1918, all'età di 85 anni. È sepolto a Missaglia (Lecco), nella tomba di famiglia.

Il Comune di Milano, a sei anni dalla morte, gli dedica un busto, scolpito da Tullio Brianzi, eretto presso i giardini pubblici Indro Montanelli in Porta Venezia; una targa recita: "Ernesto Teodoro Moneta: Garibaldino - Pensatore - Pubblicista - Apostolo della pace fra libere genti".

Ad oggi rimane l'unica personalità italiana ad aver ricevuto il premio Nobel per la pace.

10. Biografia di Belen Rodriguez

Belle figure
20 settembre 1984

Chi è Belen Rodriguez?


Belen Rodriguez (il cui nome completo è María Belén Rodríguez Cozzani) nasce nella città di Buenos Aires (Argentina) il 20 settembre 1984 dove inizia la sua carriera lavorativa a diciassette anni, come modella.

Consegue il diploma presso un liceo artistico di Buenos Aires nell'anno 2003; in seguito si iscrive alla Facoltà di Scienze della comunicazione e dello spettacolo dell'Università della capitale.

Da sempre sogna comunque di poter lavorare nella moda e nello spettacolo. Questi sono anni fondamentali per il lancio della sua carriera. Nonostante sui rotocalchi rosa le sue foto riempiano le pagine Belen è ancora poco conosciuta rispetto alle sue colleghe. Nonostante le sue origini napoletane, la bella argentina arriva in Italia con un permesso di soggiorno che le permette solamente di fare la modella: non ha il pass per lavorare in televisione e forse è solo questo il motivo per cui non concretizza subito la sua figura nel mondo dello show-biz.

Dopo un anno passato in Italia viene notata da un agente televisivo ma le parti che le vengono proposte sono quelle di gatta nera alla trasmissione "Mercante in fiera" (Italia Uno), la schedina a "Quelli del calcio" (Rai Due), la primadonna a "Controcampo", ecc.

I provini vanno bene, ma poi tutto sfuma perché mancano i termini di garanzia contrattuale. Quando finalmente viene confermata, il permesso di soggiorno di Belen è scaduto, così vede sfumare molti contratti per la televisione.

Più che per qualche comparsata in TV, Belen Rodruguez pare acquisire notorietà grazie alla sua relazione con il calciatore milanista Marco Borriello (di due anni più vecchio), confermando l'abbinata bella-campione sportivo.

Belen era sbarcata in Italia grazie all'agenzia di modelle "Elite", che in Argentina ha fatto un casting dove si sono presentate cinquemila ragazze; di quella moltitudine ne sono state scelte solo quindici tra cui la bella Belen. Da qui la pubblicità ed i molti casting di intimo e costumi da bagno le hanno aperto le porte per tutte le passerelle. Belen un po' per dono di natura un po' perché da sempre coltiva la passione per la moda e le sfilate, raggiunge in pochi anni anni discreti traguardi, come quello di diventare testimonial ufficiale della Yamamay nel 2005. Posa poi per il catalogo dell'importante casa di lingerie. L'anno si conclude alla grande, posando per il mensile "Fox Uomo" che le dedica un servizio fotografico e la copertina del numero di dicembre.

Il 2006 è caratterizzato dalla preparazione del celebre calendario, che uscirà solo in quest'anno, per la ditta FER. Belen Rodriguez viene fotografata da Luca Cattoretti che la ritrae abilmente mostrando le sue generose curve in un contesto marino, esaltandone la sensualità e la sua conturbante bellezza. Questa opportunità diventa un vero trampolino di lancio per approdare sugli schermi di Rai Tre nel 2007, anno in cui esordisce in televisione conducendo con Taiyo Yamanouchi la seconda edizione del programma comico "La Tintoria" in seconda serata, in sostituzione di Carolina Marconi. Conduce poi "Circo di Parigi" e "Il Circo Massimo Show" con Fabrizio Frizzi, sempre su Rai Tre. Poi il suo volto si diffonde per l'etere grazie al suo ruolo di donna dei sogni, accanto ai protagonisti Christian De Sica ed Elisabetta Canalis nello spot TIM.

Modesta di animo, Belen sembra non essere la classica "pantera" arrampicatrice sociale, piuttosto la classica ragazza della porta accanto. Non si vede bella e non si atteggia da grande star, ma soprattutto non crede che basti avere un bel corpo per fare cinema. Guardando i bollenti scatti dei suoi super sexy calendari (nel 2007 per Maxim, nel 2008 per Matrix) risulta però molto difficile pensare che Belen Rodriguez sia, una volta lontana dai riflettori, una ragazza acqua e sapone come ce ne sono tante in giro con la convinzione che non ci si possa improvvisare, come fanno invece in tante.

Segni particolari, due tatuaggi: una farfalla e una luna con due stelline (fatto uguale identico a sua sorella).

Nel 2008 diventa inviata del programma comico di Rai Due "Pirati" con Marco Cocci e Selvaggia Lucarelli; segna il suo esordio come cantante incidendo un singolo con Nek. Nel mese di settembre è una delle concorrenti della sesta edizione de "L'isola dei famosi", condotta da Simona Ventura: arriverà fino in fondo rischiando di vincere il gioco, che però andrà a Vladimir Luxuria.

Il 2009 si rivela un anno di consacrazione, tra partecipazioni televisive e spot pubblicitari di grande diffusione. A completare la ricetta c'è anche il nuovo fidanzato, Fabrizio Corona. Dopo diversi tira e molla la relazione con Corona però finisce nell'estate dell'anno seguente.

La sua immagine di personaggio pubblico vince e convince: a testimoniarlo sono le numerose campagne pubblicitarie dedicate all'operatore telefonico mobile TIM, la partecipazione nel cast del cinepanettone "Natale in Sudafrica", ma anche i dati di marketing che la incoronano prima personaggio femminile più ammirato dai giovani e poi personaggio famoso più cercato in rete. Non a caso Belen viene scelta per il Festival di Sanremo del 2011: insieme a Elisabetta Canalis affiancherà il designato conduttore Gianni Morandi.

Nel mese di aprile esce al cinema una commedia d'autore, il cui titolo è "Se sei così, ti dico sì" per la regia di Eugenio Cappuccio, in cui Belen è protagonista insieme a Emilio Solfrizzi. Poco tempo dopo (all'inizio di novembre) fa sapere di essere in dolce attesa di un figlio, dal suo compagno Fabrizio Corona.

11. Biografia di Nazario Sauro

20 settembre 1880
10 agosto 1916

Chi è Nazario Sauro?


Nazario Sauro, militare e patriota italiano, nacque a Capodistria (Pola) il 20 settembre 1880.

Irredentista istriano, ancora in giovane età ebbe il comando di piccoli piroscafi con i quali percorse tutto l'Adriatico, impratichendosi particolarmente delle coste dalmate, delle rotte in stretti canali, sulle condizioni idrografiche e sulle vicissitudini meteorologiche di questo tratto di mare.

Di origine italiana, allo scoppio del 1° conflitto mondiale si portò subito a Venezia, arruolandosi volontario nella Regia Marina dove ottenne il grado di Tenente di Vascello di complemento.

Le imprese

Con l'incarico di pilota si imbarcò subito su Unità siluranti di superficie e subacquee. Nell'arco di 14 mesi di intensa attività portò a compimento 60 missioni di guerra. Alcune delle missioni di Nazario Sauro sono rimaste memorabili e leggendarie per il modo mirabile con il quale coadiuvò i comandanti delle varie unità partecipanti.

Il 30 luglio 1916 imbarcò sul sommergibile Pullino con il quale avrebbe dovuto effettuare una incursione su Fiume, ma l'unità, a causa della forte corrente e della fitta nebbia esistente nella zona, andò ad incagliarsi sullo scoglio dell'isolotto della Galiola.

Risultati vani tutti i tentativi di disincaglio, distrutti i cifrari di bordo e le apparecchiature e predisposta per l'autoaffondamento, l'unità fu abbandonata dall'equipaggio e Nazario Sauro, allontanatosi volontariamente da solo su un battellino, fu in seguito catturato dal cacciatorpediniere Satellit.

La cattura e la morte

Portato a Pola e processato, venne condannato a morte per alto tradimento, mediante impiccagione.

Alle ore 17.45 del 10 agosto 1916 Nazario Sauro salì il patibolo con sulle labbra il nome dell'Italia.

Non aveva ancora compiuto 35 anni.

Medaglia d'oro al valor militare alla memoria

Nazario Sauro è tra le più importanti figure dell'irredentismo italiano e massimo rappresentante di quello istriano. Fu insignito di una medaglia d'oro al valor militare, con questa motivazione:

«Dichiarata la guerra all'Austria, venne subito ad arruolarsi volontario sotto la nostra bandiera per dare il contributo del suo entusiasmo, della sua audacia ed abilità alla conquista della terra sulla quale era nato e che anelava a ricongiungersi all'Italia. Incurante del rischio al quale si esponeva, prese parte a numerose, ardite e difficili missioni navali di guerra, alla cui riuscita contribuì efficacemente con la conoscenza pratica dei luoghi e dimostrando sempre coraggio, animo intrepido e disprezzo del pericolo. Fatto prigioniero, conscio della sorte che ormai l'attendeva, serbò, fino all'ultimo, contegno meravigliosamente sereno, e col grido forte e ripetuto più volte dinnanzi al carnefice di «Viva l'Italia!» esalò l'anima nobilissima, dando impareggiabile esempio del più puro amor di Patria.»

(Alto Adriatico, 23 maggio 1915 - 10 agosto 1916)

12. Biografia di Vittorio Taviani

20 settembre 1929

Chi è Vittorio Taviani?


Vittorio Taviani nasce il 20 settembre del 1929 a San Miniato, in Toscana; poco più di due anni più tardi, l'8 novembre 1931 nasce, sempre a San Miniato, suo fratello Paolo. La coppia di registi è considerata tra le più importanti del cinema italiano.

Figli di un avvocato che negli anni del fascismo ha più di un problema con la giustizia e con l'autorità a causa del suo pensiero antifascista, i Taviani sono entrambi appassionati di cinema sin da quando sono ragazzi, e in gioventù animano il Cineclub di Pisa: nel frattempo frequentano l'università di Pisa (Paolo è iscritto alla facoltà di lettere, Vittorio a quella di giurisprudenza) e insieme con il partigiano Valentino Orsini, un loro amico, organizzano proiezioni e spettacoli tra Livorno e Pisa prima di trasferirsi, intorno alla metà degli anni Cinquanta, a Roma, dove lavorano ad alcuni documentari.

Tra questi, anche "San Miniato luglio '44", che si avvale del contributo di Cesare Zavattini alla sceneggiatura e che è basato sugli eventi avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale in Toscana.

Gli anni '60

Nel 1960 insieme con Joris Ivens i fratelli Taviani dirigono un documentario intitolato "L'Italia non è un paese povero"; due anni più tardi firmano con Valentino Orsini il film "Un uomo da bruciare", cui segue nel 1963 "I fuorilegge del matrimonio".

Nella seconda metà degli anni Sessanta i fratelli Taviani esordiscono come registi autonomi: è il 1967 quando vede la luce "I sovversivi", pellicola che anticipa sotto molti punti di vista gli avvenimenti del Sessantotto.

Nel 1969 la coppia di registi toscani dirige Gian Maria Volonté in "Sotto il segno dello scorpione".

Gli anni '70

Nel 1972 viene realizzato un adattamento di un racconto di Tolstoj chiamato "Il divino e l'umano": si tratta di "San Michele aveva un gallo", lungometraggio che ottiene numerosi apprezzamenti della critica. Due anni più tardi è la volta di "Allonsanfan", film dedicato alla restaurazione con protagonisti Lea Massari, Laura Betti e Marcello Mastroianni.

Nel 1977 i fratelli Taviani vincono la Palma d'Oro al Festival di Cannes grazie a "Padre padrone", film tratto dal libro omonimo di Gavino Ledda: in esso viene affrontata e narrata la lotta che un pastore sardo deve combattere contro le crudeli norme dell'universo patriarcale di cui fa parte.

Gli anni '80

Dopo gli echi neorealistici de "Il prato", nel 1982 i registi di San Miniato sono i padri di "La notte di San Lorenzo", che narra la fuga di un gruppo di abitanti di un piccolo paese toscano martoriato dalle rappresaglie fasciste e naziste.

"La notte di San Lorenzo" viene ampiamente celebrato dalla critica, e si vede assegnato anche il premio della giuria ecumenica e il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes; in Italia, vince due Nastri d'Argento (regia del miglior film e migliore sceneggiatura, oltre a una nomination per il miglior soggetto) e due David di Donatello (miglior film e migliore regia).

Nel 1984 i Taviani si dedicano a un altro adattamento di un'opera letteraria: è "Kaos", film a episodi ispirato alle "Novelle per un anno" di Luigi Pirandello, che vince il David di Donatello per la migliore sceneggiatura (essendo stato candidato anche per il miglior film e per la migliore regia).

Due anni più tardi, i Taviani si vedono assegnare il Leone d'oro alla carriera in occasione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, mentre nel 1987 provano a lanciarsi nel mercato internazionale con "Good morning Babilonia", la storia di due fratelli che lasciano l'Italia in cerca di fortuna e in America iniziano a lavorare nel mondo del cinema.

Ambientato nel passato è anche "Il sole anche di notte", che ha come location la Napoli del Settecento pur essendo il suo soggetto ispirato a un racconto di Tolstoj, "Padre Sergij".

Gli anni '90

Nel 1993 i registi si dedicano a "Fiorile", una riflessione dedicata al potere del denaro, spesso corruttore, mentre nel 1995 vengono nominati Commendatori Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Un anno più tardi portano sul grande schermo "Tu ridi", esplicitamente ispirato alle novelle pirandelliane. "Tu ridi" è una pellicola distinta in due episodi: nel primo, un ex baritono (interpretato da Antonio Albanese) obbligato a non cantare più per ragioni di salute sfoga la sua frustrazione con fragorose risate notturne; nel secondo, il rapitore di un ragazzo (interpretato da Lello Arena) uccide il sequestrato.

Gli anni 2000

Negli anni Duemila, i fratelli Taviani ricevono l'onorificenza di Grand'Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana e si dedicano anche alla televisione: nel 2004, per esempio, vede la luce "Luisa Sanfelice", con protagonisti Adriano Giannini e Laetitia Casta, che vestono i panni di due ragazzi che vivono una grande storia d'amore sullo scenario di un conflitto bellico.

Nel 2007 i registi tornano al cinema con "La masseria delle allodole", che tratta del genocidio compiuto dai turchi nei confronti della popolazione armena durante gli anni della Prima Guerra Mondiale: l'opera viene presentata nella sezione Berlinale Special al Festival di Berlino e riceve il riconoscimento dell'Efebo d'Oro.

L'anno successivo, i cineasti ricevono dall'Università di Pisa (facoltà di Lettere e Filosofia) la laurea honoris causa in cinema, teatro e produzione multimediale. Nel 2009 si vedono assegnare il Premio Camillo Marino alla carriera e il Premio Monsignor Torello Pierazzi; due anni dopo, invece, vengono onorati al Bif&st di Bari con il Premio Federico Fellini 8 ½.

Nel 2012 i Taviani tornano a Berlino, dove viene proposto in concorso e consacrato "Cesare deve morire", pellicola in cui i detenuti del carcere laziale di Rebibbia mettono in scena la tragedia shakespeariana che dà il titolo al film: "Cesare deve morire" si aggiudica l'Orso d'Oro nella rassegna tedesca, ma vince anche il David di Donatello per la migliore regia e quello per il miglior film.

Nel 2015 i registi toscani portano sul grande schermo, per l'ennesima volta, un'opera letteraria: questa volta si tratta addirittura del "Decameron" di Giovanni Boccaccio, rappresentato nel film "Maraviglioso Boccaccio", con Kasia Smutniak e Riccardo Scamarcio.

13. Biografia di Cesare Zavattini

Sangue surrealista in vena neorealista
20 settembre 1902
13 ottobre 1989

Chi è Cesare Zavattini?


Soggettista, sceneggiatore e scrittore, Cesare Zavattini nasce a Luzzara (Reggio Emilia) il 20 settembre 1902. Dopo la licenza liceale, si iscrive alla facoltà di Legge a Parma e nel 1923 entra come istitutore nel collegio Maria Luigia.

Avendo scoperto col tempo di avere una forte vocazione letteraria, nel 1930 si trasferisce a Milano, dove ha modo, grazie alla sua caparbietà e alla sua flessibilità, di introdursi negli ambienti editoriali del tempo.

Notato per la sua bravura, per il bello scrivere e per la sagacia delle sue osservazioni, sviluppa una brillante carriera cominciando a collaborare a numerose riviste e arrivando addirittura a dirigere per Rizzoli tutti i periodici dell'editore. In particolare, sempre negli anni '30, prende in mano il periodico rizzoliano "Cinema illustrazione", molto importante per capire la successiva evoluzione dello scrittore, fortemente attratto appunto dal cinema e deciso a mettere in pratica le sue attitudini di sceneggiatore, in quel periodo ancora sopite.

A fianco dell'intensa attività di giornalista non bisogna dimenticare l'eccezionale capacità di Zavattini come scrittore, a cui si devono anche libri ricchi di fantasia e di un surreale umorismo, quali "Parliamo tanto di me", "I poveri sono matti", "Io sono il Diavolo" o "Totò il buono", opere che lo impongono all'attenzione della critica e del pubblico, come uno dei più originali umoristi italiani di quegli anni.

Nel cinema comincia a lavorare come soggettista e sceneggiatore nel 1935, esordendo con "Darò un milione" (M. Camerini) e proseguendo con altri film di minor spessore. Nel 1938 inoltre inizia a dipingere, una delle grandi passioni mai abbandonate della sua vita.

In questo periodo Zavattini può dare spessore concreto alla sua vera passione, quella dello sceneggiatore, grazie al contatto con registi straordinari (ad esempio con Alessandro Blasetti, con cui nel 1942 collabora al film "Quattro passi tra le nuvole"). Ma su tutti questi incontri spicca il geniale Vittorio De Sica. Con lui Zavattini esprimerà al meglio e soprattutto in autonomia le sue capacità inventive, che troveranno la loro più partecipata espressione nei film passati alla storia come "neorealisti".

I prodromi dello stile neorelista si possono scorgere, oltre che nei film dello stesso Blasetti, già nel desichiano "I bambini ci guardano" del 1943. In seguito sarà la volta di capolavori passati alla storia del cinema come "Sciuscià", "Ladri di biciclette", "Miracolo a Milano" e "Umberto D". L'incontro con Vittorio De Sica è il primo capitolo di un'amicizia e di un sodalizio artistico che li vedrà protagonisti della stagione d'oro del neorealismo (in pratica, tutti gli anni '50), e che condizionerà tutta la successiva attività cinematografica dei due autori.

Il "Dizionario del Cinema Italiano 1945/1969" di Gianni Rondolino (edito da Einaudi nel 1969), parlando di Zavattini riporta: "A partire dal 1945, andrà imponendosi come il propugnatore e il teorico di un cinema antiromanzesco, cronachistico, quotidiano, tutto intento a cogliere l'uomo nei momenti più intimi e rivelatori della sua esistenza. [I film diretti da De Sica] sono sempre più depurati di ogni elemento falsamente drammatico per giungere alla contemplazione critica di una determinata condizione umana".

Accanto alla vena più propriamente "neorealistica" della sua opera è sempre stata presente tuttavia anche una vena che si potrebbe definire "surrealista", caratteristica delle sue prime prove di scrittore ma che ha anche punteggiato la sua intera carriera di sceneggiatore (anche se con risultati alterni). Questo lo si nota molto bene sia in "Miracolo a Milano" (1951), o ne "Il giudizio universale" (1961), ambedue diretti dall'inseparabile Vittorio De Sica.

Tra le altre sue opere di rilievo, vanno almeno ricordate "E' primavera" (1949, R. Castellani), "Bellissima" (1951, L. Visconti), "Prima comunione" (1950, A. Blasetti), "Buongiorno, elefante!" (1952, G. Franciolini) e "Il tetto" (1956, V. De Sica), che può essere considerato il film che inizia il periodo involutivo della poetica zavattiniana e segna la crisi del neorealismo.

Zavattini ha comunque lavorato durante la sua lunga e luminosa carriera anche con altri grandi registi del cinema italiano e internazionale. Ne citiamo alcuni: Michelangelo Antonioni, Jacques Becker, Mauro Bolognini, Mario Camerini, Renè Clement, Damiano Damiani, Giuseppe De Santis, Luciano Emmer, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Mario Monicelli, George Wilhelm Pabst, Elio Petri, Gianni Puccini, Dino Risi, Nelo Risi, Roberto Rossellini, Franco Rossi, Mario Soldati, Luigi Zampa.

Rispetto ai limiti concessi dalla pur necessaria costruzione spettacolare del film, Zavattini cercherà di andare oltre a queste restrizioni con una serie di film-inchiesta realizzati da diversi registi su temi appositamente scelti: "Amore in città" (1953) in cui volle giungere al diretto contatto con la realtà nel suo farsi nell'episodio "Storia di Caterina" (F. Maselli); "Siamo donne" (1953), "Le italiane e l'amore" (1961), "I misteri di Roma" (1963), in cui portò alle estreme conseguenze la sua poetica del "pedinamento della realtà".

Sul piano strettamente organizzativo s'impegnò a fondo nella battaglia per una nuova organizzazione della cultura e del cinema, svolgendo una funzione rilevante nelle associazioni degli autori cinematografici e delle cooperative.

Mentre continuava a dipingere e scrivere (nel 1973 pubblica una raccolta di poesie in dialetto luzzarese), promuove tantissime iniziative, tra cui una rassegna annuale di pittura naïf e la riscoperta collettiva della propria storia di un paese emiliano, Sant'Alberto (RA). Di particolare rilevanza nella sua vita anche la lunga presenza a Cuba, da dove lo chiamarono per collaborare alla nascita del nuovo cinema dopo la rivoluzione.

Il lavoro nel cinema "per le sale" e in programmi tv gli consente di rilevarne anche contraddizioni e limiti: teorizza e promuove la sperimentazione di nuove forme filmiche, tra cui i Cinegiornali liberi.

Nel 1979, insieme ad altre personalità della cultura e della politica, Zavattini partecipa alla fondazione dell'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, diventandone presidente: continuerà a esserlo per i dieci anni successivi.

In conclusione diamo ancora la parola a Gianni Rondolino: "Per il grande apporto creativo che egli ha dato al cinema italiano del dopoguerra e all'affermazione del neorealismo e per il fervore di iniziative, soprattutto tra i giovani, che ha promosso, facilitato e influenzato, Zavattini occupa un posto di grande importanza nella storia del cinema, non solo italiano. Al suo nome rimane legato tutto un periodo, estremamente ricco di opere di valore e di fermenti culturali, che ha caratterizzato un largo settore della produzione cinematografica: il neorealismo".

Cesare Zavattini muore a Roma il 13 ottobre 1989, viene poi sepolto nell'amata Luzzara.

PREMI RICEVUTI

1948-49: Nastro d'argento per il miglior soggetto e la migliore sceneggiatura (Ladri di biciclette)

1949-50: Nastro d'argento per il miglíor soggetto e la migliore sceneggiatura (E' primavera)

1950-51: Nastro d'argento per il miglior soggetto e la migliore sceneggiatura (Prima comunione)

1957: Nastro d'argento per il miglior soggetto e la miglíore sceneggiatura (Il tetto)

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