Biografie di personaggi famosi e storici nato il 30 settembre

Biografie di personaggi famosi e storici

Biografie di personaggi famosi nella storia e celebrità nate il 30 settembre

Sommario:

1. Altan
2. Antonio Banfi
3. Monica Bellucci
4. Truman Capote
5. Lella Costa
6. James Dean
7. Oreste Del Buono
8. Rudolf Diesel
9. Fran Drescher
10. Martina Hingis
11. Giorgio Panariello
12. Teresa di Lisieux
13. Renato Zero

1. Biografia di Altan

Mediateca a fumetti
30 settembre 1942

Chi è Altan?


Francesco Tullio-Altan, o più semplicemente Altan, è una delle penne più velenose che mai si siano viste in Italia, ma capace anche di creare personaggi per bambini di tenerezza infinita come la celebre "Pimpa". Nato a Treviso il 30 settembre 1942, ha fatto i primi studi a Bologna e ha frequentato la Facoltà di Architettura di Venezia.

Ormai Altan è un'istituzione, quasi un marchio di moralità e di sguardo indignato sul presente, anche se con tutta probabilità queste sono definizioni che a lui, così schivo ed introverso, non farebbero piacere, ma alla fine degli anni '60 era un anonimo scenografo che, trasferitosi a Roma, lavorava saltuariamente anche per il cinema e la televisione in qualità di sceneggiatore.

Le prime collaborazioni che prevedono vignette e illustrazioni provengono inizialmente nientemeno che dal mensile per soli uomini "Playmen".

Trasferitosi a Rio de Janeiro nel 1970 lavora nel cinema brasiliano, e nel 1972 crea il suo primo fumetto per bambini (pubblicato da un quotidiano locale). Nel 1974 inizia la collaborazione regolare come cartoonist con giornali italiani.

Tornato in patria nel 1975 con moglie e figlia brasiliane, si stabilisce prima a Milano, poi ad Aquileia, dove vive tuttora una vita serena: il suo matrimonio dura da più di trent'anni.

Il 1975 è un anno molto importante per il disegnatore italiano: realizzerà per il "Corriere dei Piccoli" uno dei suoi personaggi più riusciti in assoluto, la già citata "Pimpa", il cagnolino a pois entrata nei cuori dei bambini di tutta Italia.

Tale è stato il successo che Pimpa, dal 1987, conta anche un omonimo mensile tutto suo, pubblicato anche in Argentina e Turchia.

Di questo tenero personaggio Altan riferisce che la sua nascita "è avvenuta per caso quando mia figlia aveva due anni e mezzo. Io ho semplicemente incominciato a fare dei disegni per lei e insieme a lei. Infatti la Pimpa richiama molto il modo di disegnare dei bambini piccoli. La Pimpa dà una veste ufficiale e pulita ad una maniera di esprimersi attraverso i disegni, che era quello di mia figlia".

Altan è celebre anche per il versante artisticamente del tutto opposto dedicato a fumetti impegnati e decisamente per adulti, comparsi anch'essi per la prima volta sull'ormai storico "Linus", il mensile fondato da Oreste del Buono e del quale Altan è collaboratore permanente.

Le sue vignette di satira politica sono poi state pubblicate su "Panorama", "Tango", "Cuore" e "Smemoranda", per non parlare della sua decennale collaborazione con "L'Espresso" e, da qualche tempo, con il prestigioso quotidiano "La Repubblica".

Dal 1977, a cominciare dalla raccolta della sua prima striscia, "Trino", ha pubblicato numerosi libri di vignette tra cui una dozzina di volumi imperniati sul più celebre dei suoi personaggi, Cipputi, operaio metalmeccanico vetero-comunista e disincantato. Ma Altan ha anche proposto taglienti riscritture biografiche di personaggi storici ("Cristoforo Colombo", "Francesco D'Assisi") o bizzarre narrazioni con protagonisti avventurosi (come ad esempio "Sandokan").

Fra i suoi romanzi a fumetti si contano anche "Ada", "Macao", "Friz Melone", "Franz", "Cuori Pazzi", "Zorro Bolero", tutti con varie traduzioni anche all'estero.

Ancora tra le opere per bambini, sono da ricordare la serie "Il primo libro di Kika", composta da dodici volumetti (e continuamente ristampata in Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Norvegia), e racconti illustrati e scritti tutti da lui come "Il nonno non ha sonno", "Carlotta fa un giretto", "Il pinguino Nino", "Paloma va alla spiaggia" o "Simone Acchiappasuoni".

A partire dal 1992 ha illustrato tutta la serie dei libri di Gianni Rodari per la Einaudi Ragazzi.

Tra le opere di altri autori illustrate da Altan sono da ricordare "Il libro dei gatti tuttofare" di T.S. Eliot, "Emilio" di Antonio Porta, "Il naso" di Gogol e "Istruzioni alla servitù" di Jonathan Swift.

Tra il 1982 e il 1983 lavora ad una serie di 26 filmati di animazione col personaggio Pimpa per una coproduzione televisiva internazionale RAI, varie volte replicata dalle televisioni di vari paesi, a cui è seguita una seconda serie nel 1997. Nello stesso anno Pimpa è diventata protagonista di un CD Rom interattivo: "Caccia alla Torta".

Su sue sceneggiature sono stati realizzati nel 1992 uno speciale televisivo in animazione di "Kamillo Kromo" e un video per la prima infanzia con sei storie della serie "Il primo libro di Kika".

Con il regista francese Gérard Zingg ha scritto la sceneggiatura del film "Ada" tratto dal suo fumetto mentre con il regista Sergio Staino quella di "Non chiamarmi Omar" (colonna sonora di Vinicio Capossela), ispirato al suo racconto "Nudi e Crudi".

Le storie di Kamillo Kromo, Colombo e Pimpa sono state anche adattate per il teatro.

2. Biografia di Antonio Banfi

Fare scuola
30 settembre 1886
22 luglio 1957

Chi è Antonio Banfi?


Antonio Banfi nasce a Vimercate (MI) il 30 settembre 1886; la famiglia, di princìpi cattolica e liberale, è di tradizione colta. Il padre Enrico, ingegnere, è stato per quarant'anni preside dell'Istituto tecnico di Mantova, il nonno ufficiale napoleonico e quello materno era uno Strambio de Castiglia (facente parte cioè della nobiltà milanese).

In questo ambiente si forma quindi il giovane Antonio Banfi, che si sposta frequentemente tra Mantova, dove studia presso il liceo Virgilio, e Vimercate dove la famiglia è solita trascorrere il periodo delle vacanze estive nella casa paterna, e che ospita una ricca biblioteca, primo luogo di raccoglimento intellettuale del giovane Banfi.

Si iscrive alla Regia Accademia-scientifico-letteraria di Milano nel 1904, frequentando i corsi della Facoltà di Lettere che ultimerà in quattro anni a pieni voti, con lode; per la sua tesi presenta una monografia su Francesco da Barberino discussa con Francesco Novati.

Immediatamente dopo inizia la professione di insegnante presso l'Istituto Cavalli-Conti di Milano, e contemporaneamente, prosegue gli studi di Filosofia (suoi professori sono Giuseppe Zuccante per Storia della filosofia e Piero Martinetti per Teoretica); consegue il dottorato nell'autunno del 1909 con pieni voti discutendo con Martinetti una dissertazione composta di tre monografie sul pensiero di Boutroux, Renouvier e Bergson.

Nello stesso periodo consegue anche i diplomi dei corsi di magistero sia per le lettere che per la filosofia.

A 23 anni la sensibilità culturale di Antonio Banfi appare già brillante.

Nel marzo del 1910, Banfi con l'amico Cotti prende la via della Germania. Il 28 aprile viene immatricolato alla Facoltà di Filosofia della «Friedrich Wilhelms Universitat» di Berlino.

Torna in Italia nella primavera del 1911 e prende parte ai concorsi per le cattedre di filosofia nei licei riuscendo sesto tra gli idonei e diciassettesimo in graduatoria. Ottiene per sei mesi la supplenza di filosofia a Lanciano, terminata la quale viene trasferito ad Urbino dove resta sino alla fine dell'anno scolastico 1911-12.

Poi riceve dal Ministero della Pubblica Istruzione la notizia di aver vinto la cattedra di filosofia con la possibilità di scelta tra quattro sedi. All'inizio del 1913 Banfi passa come professore straordinario al liceo di Jesi e vi rimane per tutto l'anno scolastico. In agosto gli giunge la nomina di ordinario al Liceo di Alessandria dove si reca nell'autunno del 1913 svolgendo il suo insegnamento presso il Liceo Piana e, come incaricato, alle locali scuole magistrali.

Il 4 marzo 1916 sposa a Bologna, Daria Malaguzzi Valeri, che per tutta la vita sarà compagna partecipe del suo mondo intellettuale e morale. Allo scoppio della guerra, Banfi, riformato al servizio di leva, può rimanere al suo posto di insegnante.

E' durante il periodo del primo dopoguerra che Banfi si avvicina alle posizioni di sinistra. Pur non militando all'interno del movimento socialista ne condivide le finalità. In questi anni viene nominato direttore della biblioteca comunale alessandrina, carica che manterrà fin che lo squadrismo fascista non riuscirà a provocare il suo allontanamento.

Di fronte alle minacce delle squadre fasciste Banfi mantiene comunque un atteggiamento di fermezza e di radicale opposizione.

Mentre proseguiva l'attività didattica, Banfi si dedica in questi anni ad un intenso lavoro scientifico che avrà il suo primo riconoscimento nel conseguimento della libera docenza il 9 dicembre 1924. Nella primavera del 1923 conosce personalmente Edmund Husserl durante una sua visita in Italia. Da allora avrebbe sempre tenuto stretti rapporti con il filosofo tedesco fino al 1938 quando questi si spegne.

Nel 1925 Banfi è tra i firmatari della famosa risposta, redatta da Benedetto Croce, a un manifesto degli intellettuali fascisti.

Nell'autunno del 1926, dopo 13 anni di insegnamento ad Alessandria, ottiene il trasferimento al Liceo-Ginnasio Parini di Milano dove insegna ancora filosofia e storia.

Nel 1931 presentatosi al concorso a professore straordinario alla cattedra di storia della filosofia dell'Università di Genova, riesce vincitore.

Nel 1932 viene definitivamente chiamato a Milano per la cattedra di storia della filosofia. Dal 1932 iniziano gli anni più proficui dell'insegnamento banfiano ed è in questo periodo che si viene formando quel solido nucleo di studiosi che, nella cultura filosofica italiana, oggi vengono definiti «della scuola di Banfi».

Nel 1940 fonda la rivista «Studi Filosofici» che diviene il centro di raccolta delle nuove energie che uscivano dalla sua stessa scuola. Sul finire del 1941 entra in contatto con l'organizzazione clandestina del Partito comunista italiano e aderisce a questo movimento. Nel periodo che va fino all'8 settembre 1943 Banfi partecipa a numerose riunioni di professori che avevano lo scopo di porre le basi per un sindacato libero della scuola.

Dopo l'8 settembre Banfi prende direttamente parte all'organizzazione della Resistenza.

Nel 1944 fonda con Eugenio Curiel il «Fronte della Gioventù». Durante tutto il periodo della Resistenza Banfi prosegue le sue lezioni accademiche che cessano solo il 17 marzo 1945, poco prima della fase insurrezionale. A riconoscimento della sua azione in questo periodo la «Commissione di riconoscimento qualifiche partigiani per la Lombardia» gli conferisce la qualifica di partigiano combattente nel III Gap per il periodo dal 9 settembre 1943 al 25 aprile 1945.

Dopo la Liberazione Banfi si prodiga per organizzare quelle strutture culturali necessarie per il rinnovamento intellettuale e morale del Paese. Immediatamente dopo l'insurrezione fonda il «Fronte della Cultura» che vuole raccogliere tutte le energie moderne e sensibili dell'intelligenza nazionale.

Sul piano più strettamente politico Banfi partecipa alla vita del Partito comunista con conferenze, dibattiti, comizi. Nel 1948, come candidato del «Fronte democratico popolare», viene eletto senatore nel collegio di Abbiategrasso. Fa quindi parte della sesta commissione del Senato per la Pubblica Istruzione. In questa sede, e nel lavoro parlamentare, partecipa vivamente all'attività legislativa e svolge un'energica azione in difesa della scuola nazionale, universitaria e secondaria.

Nel 1949, per la prima volta, Banfi si reca nell'Unione Sovietica da cui torna con una viva e positiva impressione. Torna successivamente in Urss altre due volte nella sua qualità di commissario per l'Italia del Premio Lenin.

Nel 1953 viene rieletto al Senato nel secondo collegio di Cremona. Poco prima dello svolgimento delle elezioni Banfi compie un lungo viaggio in Cina, fino in Mongolia. In Cina ha occasione di celebrare il centenario leonardesco. Da questo viaggio Banfi torna tanto affascinato riprendere gli studi intorno alla cultura cinese.

Nel 1954 si reca in Inghilterra e nella primavera del 1957 torna per l'ultima volta in URSS. Qui prende contatto con esponenti della cultura cinese, indiana e mussulmana nel quadro del piano che egli aveva tracciato per la ripresa di «Studi Filosofici». Nonostante la ricca partecipazione alla vita politica, l'attività fervida dedicata all'organizzazione della cultura, gli interessi molteplici della sua personalità (oltre che professore universitario e senatore della Repubblica era consigliere comunale di Milano, membro del Comitato Centrale del PCI, membro dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, accademico dei Lincei vice-Presidente della Federazione Internazionale sindacale dell'insegnamento, Presidente della sezione sociologica del Centro di Prevenzione sociale, vice-Presidente della Società filosofica italiana, membro dell'Unione interparlamentare, nel Consiglio della Società Europea di Cultura, Presidente dell'Associazione Italia-URSS, membro del Centro studi per la Cina, membro del Comitato Thomas Mann), anche in questi anni tiene regolarmente i suoi corsi universitari.

Nell'estate del 1957, dopo aver regolarmente terminato i corsi all Università degli Studi, dove dirigeva la scuola di perfezionamento, e all'Università Bocconi, cade ammalato ai primi di luglio. Muore il 22 luglio 1957 presso la clinica Columbus di Milano circondato dalla moglie, dal figlio e dal gruppo dei suoi più affezionati studenti.

3. Biografia di Monica Bellucci

Bella da fantascienza
30 settembre 1964

Chi è Monica Bellucci?


Monica Bellucci nasce il 30 settembre 1964 in Umbria a Città di Castello(PG). Dopo la maturità classica si iscrive a giurisprudenza con l'intenzione di diventare avvocato, ma il suo ingresso nel mondo della moda, attività cominciata con l'intento di pagarsi gli studi, la assorbe fin da subito in una molteplicità di impegni. Nel giro di un paio di anni, insomma, è costretta a lasciare l'università per dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera, che prende il volo nel 1988 quando Monica si trasferisce a Milano per essere arruolata nella famosa agenzia "Elite", conquistando in breve tempo le copertine delle maggiori riviste di moda.

A Parigi la rivista "Elle" le dedica diverse copertine e la consacra al mondo internazionale delle top model. Un anno dopo la Bellucci debutta a New York, fotografata da Richard Avedon per la campagna della Revlon "Most Beautiful Women" e diventa la protagonista di una serie di campagne per Dolce e Gabbana, i quali la eleggono a vera e propria icona della donna medioterranea.

Ma a Monica Bellucci il ruolo di modella, malgrado il successo, va stretto, tanto che nel 1990 tenta la strada della recitazione.

All'apice della carriera di modella, incontra Enrico e Carlo Vanzina che, colpito dall'espressione intensa del suo sguardo e dal suo fisico mozzafiato la presentata a Dino Risi, autentico mostro sacro del cinema italiano. Ed è proprio col celebre maestro della commedia all'italiana che nel 1991 gira il film TV "Vita coi figli", assieme ad uno straordinario (come sempre), Giancarlo Giannini. Quell'esperienza, malgrado sia legata alla sola televisione, le apre comunque molte porte e la Bellucci comincia a capire che il cinema può diventare davvero un'aspirazione realizzabile. Ecco dunque che, sempre nel 1991, è protagonista de "La riffa" di Francesco Laudadio e interprete in "Ostinato destino" di Gianfranco Albano. Nel 1992, invece, il gran salto internazionale che la proietta direttamente ad Hollywood: ottiene infatti una parte nel "Dracula" di Francis Ford Coppola.

Sempre nel 1992 gira "Briganti" di Marco Modugno con Claudio Amendola e "La Bibbia" di Robert Young con Ben Kingsley, una produzione TV Rai/USA. Nel 1994 gira "Palla di Neve" di Maurizio Nichetti, con Paolo Villaggio, Leo Gullotta e Anna Falchi. Nel 1995 approda nuovamente al cinema internazionale con un ruolo di protagonista nel film "L'appartement" di Gilles Mimouni in cui conosce l'attore Vincent Cassel, suo futuro sposo e compagno di numerosi film, come ad esempio "Méditerranées" e "Come mi vuoi". Nel 1996 un importante riconoscimento le viene dalla Francia: riceve un "Cesar" come miglior giovane attrice promessa per il suo ruolo nel film "L'appartamento".

Nel 1996 è co-protagonista in "Le doberman" di Jan Kounen. Nel 1997 è la volta di "L'ultimo capodanno" per la regia di Marco Risi per il quale nel 1998 riceve il Golden Globe, premio della critica straniera per l'Italia come miglior attrice italiana. Nel 1998 gira la commedia noir "Comme un poisson hors de l'eau" di Hervé Hadmar. In Spagna Monica ottiene grande successo di pubblico con il film spagnolo "A los que aman" di Isabel Coixet. Sempre nel 1998 Monica gira come protagonista femminile il film noir "Frank Spadone" di Richard Bean con Stanislas Mehrar e a Londra gira un cortometraggio dal titolo "That certain something" di Malcom Venville recitando in inglese.

Tra il 1999 e il 2000 l'abbiamo vista in "Under Suspicion", accanto a Gene Hackman e infine come protagonista nell'ultimo lavoro di Giuseppe Tornatore, "Malena", oltre che protagonista del violentissimo thriller francese. Attrice ormai ampiamente riconosciuta e affermata, si è definitivamente scrollata di dosso il riduttivo ruolo di modella.

Nel 2003 è tornata alla ribalta a livello mondiale per la sua -seppur marginale- interpretazione del personaggio di Persefone in "Matrix Reloaded", secondo capitolo della saga fantascientifica dei fratelli Wachowski.

Dopo la "Passione di Cristo", di Mel Gibson, in cui interpretava Maria Maddalena, Monica Bellucci ha dedicato il 2004 alla sua maternità, conclusasi il 12 settembre con la nascita di Deva, nome di origine sanscrita che significa "divina".

Monica Bellucci risiede a Parigi con il marito Vincent Cassel.

Un sondaggio francese nel mese di marzo 2007 l'ha eletta Donna più sexy del mondo, precedendo nomi quali Paris Hilton, Beyonce, Shakira, Mathilde Seigner, Sharon Stone, Sophia Loren, Madonna, Penelope Cruz.

Nel maggio del 2010 nasce la seconda figlia, Leonie. Alla fine del mese di agosto 2013 fa sapere ai giornali che lei e il marito hanno deciso di separarsi.

4. Biografia di Truman Capote

La parabola di un eclettico
30 settembre 1924
25 agosto 1984

Chi è Truman Capote?


Giornalista, scrittore, dialoghista, sceneggiatore, drammaturgo, attore: rinchiudere in una sola definizione Truman Capote è praticamente impossibile. Nato il 30 settembre del 1924 a New Orleans, Truman (il cui vero nome è Truman Streckfus Persons) cresce in Alabama, a Monroeville, accudito dai parenti che lo hanno preso in cura dopo il divorzio dei genitori: la madre, scostante e turbolenta, alle prese con numerosi amanti, gli fa visita solo occasionalmente, mentre il padre, sprovveduto e squattrinato, ricomparirà solo quando Capote sarà ricco e famoso.

L'infanzia del piccolo Truman, dunque, è poco felice, e l'unico affetto che lo consola è quello di Harper Lee, sua amica del cuore, che diventerà a sua volta celebre come scrittrice grazie al libro vincitore del Premio Pulitzer "Il buio oltre la siepe" (titolo originale: "To kill a mockingbird"), dove appare anche Truman, nei panni del piccolo Dill.

Anche durante l'adolescenza la vita per Truman non è semplice: a scuola viene preso in giro per i suoi modi effemminati, e trova l'unico sollievo nell'insegnante di inglese del college, unica che sa apprezzare la sua sterminata fantasia, alimentata dalla sua passione per la lettura. Dopo la scuola Truman si trasferisce a New York, dove assume il cognome di Joe Capote, suo patrigno; pur di entrare in contatto con il mondo del giornalismo, il ragazzo trova lavoro come fattorino presso il "New Yorker", celebre rivista letteraria, dal quale però viene licenziato dopo essersi spacciato come inviato in occasione di un convegno letterario.

Nel frattempo, alcuni suoi racconti vengono pubblicati sull'"Harper's Bazaar" e sul "Southern Gothic Novelist". Un successo inaspettato arriva con "Miriam", edito da una rivista femminile, che gli apre le porte dei salotti mondani della Grande Mela. Truman Capote, personaggio dandy e profondo intellettuale, ben presto diventa amico di Ronald Reagan, Tennessee Williams, Jackie Kennedy, Andy Warhol e Humphrey Bogart: è l'inizio di una vita segnata dagli eccessi, aggravata da un carattere difficile e dall'ostentazione della propria omosessualità.

Truman Capote in pochi anni diventa uno scrittore conosciuto in tutto il Paese: dopo "Altre voci, altre stanze", del 1948, è la volta di "Colazione da Tiffany" e del musical "House of flowers", del quale compone sceneggiatura e parole dei brani musicali. Nel 1966 sul "New Yorker" esce a puntate "A sangue freddo", la sua opera più famosa, realizzata dopo un lavoro di indagine durato sei anni.

Poco dopo, però, inizia già la parabola discendente di Capote, che con il romanzo "Preghiere esaudite", peraltro mai completato, prova a condensare tutte le osservazioni derivanti dal suo incontro con il jet set. Pensato come un libro di carattere proustiano, una sorta di ritratto del nulla delle vicende che coinvolgono i divi della Grande Mela, "Preghiere esaudite" fa perdere a Capote tutte le sue amicizie.

Droga e alcol sono sempre più protagonisti della vita dello scrittore, che veste i panni di un moderno Oscar Wilde, dall'esistenza distruttiva ed estetizzante. Il novello Thomas Chatterton, come è stato ribattezzato da James Michener, passa l'ultima parte della sua vita con uomini che mirano unicamente al suo denaro, disinteressandosi di lui. Truman sviluppa, inoltre, una forma pesante di epilessia, dovuta all'abuso di sonniferi. Le sue condizioni di salute peggiorano sempre di più, anche a causa della dipendenza dall'alcol: lasciato dal suo compagno, dal bel mondo che lo aveva osannato e dai divi che rinnegano la sua amicizia, Capote passa intere settimane a bere e a dormire, sul letto di casa propria o in un ospedale di New York.

Due tentativi di disintossicazione non vanno a buon fine, e così, all'età di 59 anni, Truman Capote muore all'età di 59 anni il 25 agosto del 1984 a causa di una cirrosi epatica mentre si trova a Bel Air, Los Angeles, ospite di una delle poche persone amiche che non lo hanno mai lasciato, Joanne Carson.

Tra le altre opere della carriera di Truman Capote, vale la pena di citare la realizzazione dei dialoghi inglesi di "Stazione Termini", film del 1953 di Vittorio De Sica, e le sceneggiature di "Il tesoro dell'Africa", "Laura" e "Suspense". L'artista si è anche cimentato come attore prendendo parte al tredicesimo episodio della prima stagione di "ABC Stage 67", a "The Thanksgiving visitor" e a "Invito a cena con delitto". Maledetto, deluso e deludente, artisticamente creativo e profondamente geniale, vittima dell'alcol, della droga, di se stesso e della propria ingenuità, Truman Capote ha rappresentato una delle personalità più controverse degli anni Sessanta e Settanta, non solo in America ma anche nel resto del mondo.

5. Biografia di Lella Costa

Nostra regina del monologo
30 settembre 1952

Chi è Lella Costa?


Gabriella Costa, famosa esclusivamente come Lella Costa, nasce a Milano, il 30 settembre del 1952. Importante attrice italiana, nota al grande pubblico per alcuni passaggi televisivi, è una delle più importanti interpreti del teatro nazionale, famosa soprattutto per i suoi monologhi. Doppiatrice, ha lavorato e molto anche per la radio, con trasmissioni radiofoniche all'avanguardia. Ha preso parte inoltre ad alcune esperienze cinematografiche interessanti ed è molto attiva nel mondo no-profit, promuovendo da anni l'attività di Emergency di Gino Strada, ente di cui è portavoce. Impegnata strenuamente nella difesa per i diritti civili, è stata per anni anche la voce di Peacereporter, interprete degli spot nazionali. Dal 2010 compare di frequente sulle reti Mediaset per il format comico Zelig, molto seguito.

Dopo gli anni della prima giovinezza, la futura artista frequenta il liceo classico Giosuè Carducci di Milano e, appassionata di letteratura, si iscrive alla facoltà di Lettere. Porta a termine tutti gli esami senza conseguire la laurea: l'amore per il teatro infatti, è già forte a questa età, tanto da indurla a lasciare gli studi e ad iscriversi all'Accademia dei Filodrammatici, dove si diploma qualche anno dopo, con tanto di Medaglia d'oro.

Gli esordi artistici sono con Massimo Rossi. Il suo debutto è un monologo, genere nel quale eccellerà ben presto, ed è datato 1980. È una scrittura di Stella Leonetti e si intitola "Repertorio, cioè l'orfana e il reggicalze".

Lella Costa si lancia da questo momento nell'arte teatrale contemporanea e comincia a frequentare autori come la citata Leonetti, Renzo Rosso e Slawomir Mrozek, scrittore polacco e avanguardistico, di stampo satirico. Approda in radio, altra sua grande passione, dove si fa le ossa. Al contempo, si affaccia nel cosiddetto teatro-cabaret. Scrive un altro monologo, datato 1985, insieme con Patrizia Balzanelli e, nel marzo del 1987, debutta con il primo spettacolo di cui è anche autrice, dal titolo "Adlib".

Nel 1988 va in scena con "Coincidenze" e comincia a lavorare per la sua prima esperienza nel cinema, dove debutta l'anno dopo, nel 1989, con il film "Ladri di saponette". La pellicola ha un chiaro riferimento alla trama del più celebre "Ladri di biciclette" ed è firmata da Maurizio Nichetti, il quale è anche attore protagonista di questo film di ispirazione neorealistica, nel cui cast oltre a Lella Costa, figurano anche attori come Caterina Sylos Labini e Federico Rizzo.

La giovane e brava Lella si fa valere anche nel piccolo schermo, dove approda proprio in questi anni. Prende parte a "La TV delle ragazze", programma cult dell'epoca, e a format come "Fate il vostro gioco", "Ottantanonpiùottanta", "Il gioco dei nove" e altri. Diventa ospite fissa e gradita del "Maurizio Costanzo Show", talk show molto seguito in quegli anni, e si guadagna un'altra parte al cinema, per Francesco Calogero, in "Visioni private", datato 1990.

Nel febbraio dello stesso anno Lella Costa torna sulle scene, con quello che è il suo terzo monologo autoprodotto, dal titolo "Malsottile", una sorta di riflessione ironica e poetica su un tema a lei caro, come la memoria.

Nel gennaio del 1992 l'attrice va in libreria, per i tipi di Feltrinelli, con il libro "La daga nel loden", il quale raccoglie un po' tutta la sua produzione teatrale realizzata fino al 1991. Nello stesso anno va a teatro con l'unica produzione al di fuori della struttura del monologo, dal titolo "Due".

Tra il 1994 e il 1995 torna con i monologhi teatrali, producendo rispettivamente "Magoni", con le musiche originali del grande musicista Ivano Fossati, e "La daga nel loden", il quale ottiene un ottimo successo al Teatro Studio di Milano dal 27 ottobre al 5 novembre.

Nel mese di gennaio del 1996 scrive con Alessandro Baricco l'opera "Stanca di guerra", nuovamente sul palco del Piccolo Teatro di Milano l'anno dopo, nel febbraio del 1997. Nel marzo del 1998 è alle dipendenze di Gabriele Vacis, regista di "Un'altra storia". Nel dicembre dello stesso anno la casa Feltrinelli pubblica una sua nuova raccolta teatrale, dal titolo "Che faccia fare"; l'anno dopo, già a gennaio, è su Italia 1, al format "Comici", presentato da Serena Dandini.

Un ottimo successo riscuote nello stesso anno la sua esperienza in radio, sulle frequenze di Radio 3: l'attrice legge "Il Paradiso degli Orchi" dell'autore francese Daniel Pennac, interpretando il testo e commentandolo in una serie di venti puntate.

Nel 2000 torna al Piccolo di Milano, sempre con il regista Vacis, per una riduzione dall'Otello, dal titolo "Precise parole". Al contempo, prende parte al celebre allestimento italiano dei "Monologhi della Vagina", scritto da Eve Ensler, per il Salone Pierlombardo di Milano, nell'ottobre del 2001.

L'anno dopo pubblica ancora per Feltrinelli la raccolta "In Tournèe" e, sempre nel 2002, dà voce allo spettacolo "Occhi Scritti", scritto e diretto da Francesco Cavalli e Pasquale D'Alessio. Nell'ottobre del 2002, Lella Costa porta in giro la sua versione della "Traviata", con la regia di Gabriele Vacis e debutto nazionale all'Arena Del Sole di Bologna. La tournèe viene ripresa anche da Rai 2.

A febbraio del 2004 l'attrice milanese prende parte a "Nobel tra letteratura e teatro", presso il Teatro dell'Archivolto di Genova, dove dà voce al testo dell'autore Gabriel Garcia Marquez, grandissimo Nobel colombiano, con l'opera "La incredibile e triste storia della Candida Eréndira e della sua nonna snaturata", accompagnata dalle musiche degli Aquaragia Drom, per la regia di Giorgio Gallione.

A dicembre dello stesso anno, divide il palco con Arnoldo Foà, nel recital "Le mille e una notte. Sherazade".

Uno dei migliori lavori di Lella Costa arriva a gennaio 2005, con "Alice, una meraviglia di Paese", per la regia di Giorgio Gallione, con le musiche originali di Stefano Bollani, grande pianista e compositore italiano, jazzista amatissimo.

Nel 2006 torna in tv, a LA7, al programma "Mitiko", insieme con il giornalista Marco Travaglio: quattro puntate che ottengono un buon successo di pubblico e critica. L'anno dopo produce "Amleto", scritto e interpretato da lei, insieme con Massimo Cirri e Giorgio Gallione, di cui è anche regista.

Tra il 2010 e il 2012 prende parte ad alcune puntate del format televisivo Zelig, per la conduzione di Claudio Bisio.

6. Biografia di James Dean

L'icona del ribelle
8 febbraio 1931
30 settembre 1955

Chi è James Dean?


Era il tardo pomeriggio, già tendente alla sera, del 30 settembre 1955: nella statale 466 in direzione di Salinas, California, una Porsche Spider non poté evitare la collisione con un altro veicolo che, forse per una distrazione dell'autista, ne aveva invaso la corsia. L'impatto fu devastante: per il conducente dell'auto non ci fu nulla da fare, era deceduto sul colpo e la sua auto ridotta in pezzi. Alcune ore più tardi, tra lo sgomento generale, cominciò a diffondersi la notizia che James Dean era morto. Aveva 24 anni.

Oggi, a oltre cinquant'anni dalla scomparsa dell'attore e dalla nascita del mito, quella di James Dean è un'icona che la cultura giovanile ha introiettato, ormai quasi inconsapevolmente, e la cui leggenda continua a perpetuarsi da più generazioni, senza peraltro veder diminuire il suo sottile fascino e la sua attualità. Non è facile trovare un altro personaggio che, al suo pari, ha influenzato tanto, e così a lungo, i comportamenti, il modo di vestire, le mitologie metropolitane dei giovani; al punto da potersi affermare che in ogni giovane c'è riposto qualcosa che appartiene a James Dean, prototipo di ogni teenager.

Negli stessi anni in cui se ne cominciava a definire la leggenda, il rock'n'roll muoveva i suoi primi passi e la figura del "ribelle" incarnata dall'attore fu, sin dall'inizio, assunta come propria dalla nuova tendenza musicale: negli States nasceva la cultura giovanile, che avrebbe presto conquistato e rivoluzionato il mondo.

Così come della sua precoce morte, della vita di James Dean si è scritto a lungo per decenni, spesso con accenti quasi epici che finiscono per generare una totale indistinzione tra vita privata e pubblica ma, soprattutto, tra vita e arte. Questa forma d'indistinzione, se da un lato può rappresentare un limite, perché spesso si corre il rischio di mettere in secondo piano quelli che sono gli indubbi meriti artistici dell'attore rispetto a un certo gusto per l'aneddotica biografica dell'uomo, dall'altro lato è forse al tempo stesso inevitabile per capire un personaggio enigmatico e singolare come James Dean, che recitò nel modo in cui visse, e visse come recitò sul grande schermo.

James Byron Dean nacque l'8 febbraio del 1931 a Marion, nell'Indiana, in quello che allora era uno tra gli stati americani più depressi e rurali. La sua prima infanzia fu segnata dalla prematura scomparsa della madre e dal difficile rapporto con il padre. Fu amorevolmente allevato dagli zii e, appassionatosi sin da giovane al teatro e ad altre attività creative, cominciò a sviluppare una personalità inquieta, eccentrica, ambiziosa, e che sarebbe rimasta carica di conflitti adolescenziali mai risolti.

Alcuni anni dopo, furono sopratutto queste sue caratteristiche peculiari a convincere il regista Elia Kazan che il ventitreenne James Dean - il quale aveva studiato recitazione, frequentato l' "Actors Studio" e aveva già alle spalle diverse esperienze teatrali, ma anche radiofoniche e televisive - possedesse la personalità più adatta per interpretare il difficile personaggio di Cal Trask nel film La valle dell'Eden ("East of Eden", 1955), tratto dall'omonimo romanzo di Steinbeck. Per il ruolo, egli fu preferito sia a Marlon Brando, sia a Montgomery Clift: gli altri due più anziani "ribelli di Hollywood", entrambi modelli di riferimento per il giovane James Dean, non possedevano a parere di Kazan la stessa carica emotiva, lo stesso risentimento nei confronti della figura paterna, la stessa giovanile irruenza, la medesima profonda infelicità.

Fu così che al giovane attore, per la prima volta, si aprirono le grandi porte della celebrità e del successo, da egli a lungo anelato.

Ma, se James Dean aveva bisogno di Hollywood per appagare la sua innata e irrefrenabile ambizione, anche Hollywood aveva bisogno di attori come lui. In quegli stessi anni, infatti, la celebre "fabbrica dei sogni" si stava aprendo anche a un nuovo modo di far cinema: più libero e indipendente, caratterizzato da uno stile più realistico, pregnante e meno auto-celebrativo, attento ai fenomeni sociali e soprattutto al nascente universo giovanile, che il cinema stesso contribuì a definire ed alimentare.

James Dean restò a Hollywood appena diciotto mesi ed ebbe il tempo di recitare solo in tre pellicole ma, pur in questo esiguo arco di tempo, rivoluzionò non soltanto la vita di milioni di teen-ager, ma anche lo stile di recitazione di parecchi attori cinematografici. Truffaut scrisse di lui, dopo la sua morte: "Dean va contro cinquant'anni di cinema. Lui recita qualcos'altro da quello che pronuncia, il suo sguardo non segue la conversazione, provoca una sfasatura tra l'espressione e la cosa espressa. Ogni suo gesto è imprevedibile. Dean può, parlando, girare la schiena alla cinepresa e terminare in questo modo la scena, può spingere bruscamente la testa all'indietro o buttarsi in avanti, può ridere là dove un altro attore piangerebbe e viceversa, perché ha ucciso la recitazione psicologica il giorno stesso in cui è apparso sulla scena".

Solitario, irrequieto, dal fascino un po' tenebroso, sin dal suo esordio in La valle dell'Eden, questo enfant terrible di Hollywood fu considerato un eroe dalla gioventù americana, dimostrandosi in grado di rappresentarne lo straniamento, di denunciarne l'incomprensione, di esorcizzarne la solitudine. Il film mette in scena la storia del burrascoso rapporto tra un padre e il minore dei suoi due figli, che nutre risentimento nei confronti del genitore perché, a differenza del fratello, non si è mai sentito amato e apprezzato. James Dean, per il proprio simile vissuto personale, caratterizzò in modo così intenso il personaggio di Cal Trask, infelice e incompreso, che la sua non era più soltanto un'ottima interpretazione cinematografica; era qualcosa di ben più potente e pregnante che andava oltre la finzione filmica, la storia narrata: improvvisamente, fu assunto come portavoce di un'intera giovane generazione che, per la prima volta, cercava di affermare sé stessa. Negli stessi mesi, un altro fenomeno rivoluzionario, il rock 'n' roll, faceva la sua clamorosa comparsa.

Se "La valle dell'Eden" mise in luce una nuova rivelazione del cinema, e cominciò già a definire i tratti di un simbolo generazionale, fu però soprattutto la seconda interpretazione, Gioventù bruciata, quella più memorabile e che consegnò alla posterità la leggenda di James Dean nella forma in cui è stata tramandata da allora: è l'immagine risultante da "Gioventù bruciata", infatti, a esser quella più intimamente legata al mito dell'attore anche perché, in questo film, l'uomo Dean e il personaggio da lui interpretato, Jim Stark, grazie anche a una sapiente regia, sembrano davvero giungere a identificarsi del tutto; in questo modo, il film si trasforma quasi in un documento biografico dell'attore, un frammento della sua breve vita e, allo stesso tempo, anche una premonizione della sfortunata morte che, ancor prima che il film uscisse nelle sale, egli avrebbe trovato. "La sua angoscia era autentica sia sullo schermo che nella vita", ebbe a dire di lui Andy Warhol alcuni anni dopo. Per delle sinistre coincidenze, anche gli altri due giovani attori principali che lo affiancavano - Natalie Wood e Sal Mineo - avrebbero trovato entrambi una tragica morte precoce in circostanze cupe e misteriose.

Gioventù bruciata ("Rebel Without A Cause", 1955), diretto da un talentuoso Nicholas Ray, mette in scena la drammatica e toccante storia di tre adolescenti alle prese con il difficile passaggio all'età adulta e con la faticosa ricerca di una propria identità. Il mondo degli adulti, quello dei genitori, è visto con distacco e profonda estraneità, poiché incapace di trovare delle risposte al disagio giovanile e, soprattutto, di trovarle in fretta. Ne consegue una totale incomunicabilità tra i due orizzonti: quello adulto, tratteggiato come debole, assente e ipocrita; quello dei giovani, dipinto come sentimentale e idealista. L'insicurezza esistenziale, la profonda solitudine, la mancanza di punti di riferimento, porta i giovani protagonisti a cercare la propria strada anche a costo di rischiare di perderla. Alla fine, la storia d'amore tra Jim e Judy sarà forse per i due giovani un veicolo di rinnovamento e di approdo a una vita matura, ma che sia al tempo stesso consapevole e coraggiosa; a farne le spese sarà, però, il più piccolo e indifeso dei tre protagonisti: Plato, vittima innocente di una società malata e distratta.

In "Gioventù bruciata", diventato presto un vero cult-movie, fanno la loro piena comparsa anche quelle tematiche che caratterialmente accompagnano, sin dalla più giovane età, la breve e turbolenta vita di James Dean: la competitività, la continua messa alla prova di se stessi, la fretta di vivere, la sfida alla morte. Come è noto, infatti, l'attore fu nel corso della propria vita un "ribelle" non certo meno che negli schermi cinematografici, conducendo una vita intensa, frenetica e spesso sregolata.

Originario dell'Indiana, patria delle 500 miglia di Indianapolis, Jimmy - come veniva chiamato dagli amici - nutriva una passione smisurata per le moto e le auto da corsa, con le quali trascorreva molto tempo, spesso partecipando anche a competizioni ufficiali. Il giorno in cui morì, era diretto a Salinas per una gara a cui avrebbe preso parte il giorno seguente. L'ironia della sorte volle anche che, poco più di un mese prima dell'incidente, Jimmy avesse partecipato come testimonial a uno spot televisivo sulla guida sicura. In quell'occasione, le sue parole furono: "Guidate con calma" - e poi, rivolgendo lo sguardo verso la telecamera, con un sorriso enigmatico aggiuse: "Perché la vita che salvereste potrebbe essere la mia". Sebbene in seguito pare sia stato accertato che l'incidente di cui fu vittima non fosse legato a un eccesso di velocità, il triste epilogo rappresentò l'esito finale di una vita vissuta sempre sul filo del rasoio. Uno dei motti da lui inventati era: "Sogna come se potessi vivere in eterno, vivi come se dovessi morire oggi". Così visse, così morì.

Quel 30 settembre del '55, l'America dei giovani - e non solo - si ritrovò in lacrime per la perdita di un eroe; si assistette a scene di delirio tragico paragonabili solo a quelle che, trent'anni prima, avevano accompagnato la scomparsa di Rudolph Valentino. Appena una settimana prima della tragica collisione alla guida della sua "Little Bastard" - aveva soprannominato così la nuovissima Porsche 550 -, l'attore aveva ultimato a Hollywood, al fianco di Liz Taylor, le riprese principali del kolossal Il Gigante ("Giant", 1956), diretto da George Stevens; la sua terza e ultima interpretazione cinematografica, sebbene non da protagonista. Il film uscì nelle sale un anno dopo la sua morte e fu accolto con grande clamore. Alcuni mesi più tardi, Hollywood offrì il primo di tanti futuri tributi al suo giovane e sfortunato eroe: The James Dean Story (1957), un vivace documentario co-diretto da un giovane Robert Altman, e la cui colonna sonora ebbe come interprete d'eccezione il jazzista Chet Baker (il quale, anch'egli bello e maledetto, prese a esser soprannominato il "James Dean del jazz"). Nel film, tuttavia, l'intento documentaristico finiva in realtà per rivelare i propri limiti, facendo assumere all'attore da poco scomparso già un'intensa aura di leggenda. Leggenda che, da allora, non sembra conoscere tramonto.

Dalla metà degli anni 50 ai nostri giorni, James Dean è stato oggetto di un vero e proprio culto: per decenni, migliaia e migliaia di fan lo hanno venerato e imitato, ne hanno commemorato la morte, ne hanno visitato la tomba, ne hanno collezionato cimeli e oggetti, alcuni hanno persino partecipato a competizioni in suo ricordo. La sua immagine è stata abbondantemente utilizzata e rielaborata - in modo più o meno diretto - dall'industria del cinema, della televisione e della moda. Si può anche dire che nessuno abbia contribuito quanto lui a definire quello che è ancora oggi il look più diffuso nei giovani di tutto il mondo: jeans e t-shirt, indumenti ormai considerati inseparabili dallo stesso stauts di giovani. Ma forse è nell'universo del rock, e delle sue proprie mitologie, che l'influenza dell'attore è stata più pervasiva e autentica. Già all'indomani della sua scomparsa, infatti, il nascente rock&roll ne assunse non soltanto gli aspetti estetici, pur indispensabili per la definizione dei novelli rocker, ma anche l'anarcoide spirito di ribellione: Elvis, per consolidare la propria immagine, adottò strategicamente un look e delle movenze "animalesche" alla James Dean, del quale era un fanatico ammiratore; Gene Vincent ed Eddie Cochran, invece, giunsero a un'identificazione spirituale ben maggiore e, mentre il primo la scampò per due volte, il secondo trovò, come l'attore, una sfortunata e precoce morte sull'asfalto.

Il retaggio mitico del ribelle di Hollywood, però, non si limitò solo al primo rock&roll bensì, da allora in poi, divenne definitivamente parte integrante della cultura musicale del rock tout court: dai primi rock&roller agli alfieri dell'underground, dai surfisti ai punk, e fino ai giorni nostri, la figura di James Dean accompagna, con le sue forti connotazioni, l'intera storia del rock; incarnandone quell'anima ribelle e dannata, ma anche fragile e fanciullesca, caratterizzando quella ricorrente immagine da "duri con il cuore tenero" e sfidando persino lo scontro generazionale, poiché simbolo così forte da essere assunto tanto padri quanto dai figli. Se già il giovane Bob Dylan considerava James Dean un idolo e ne lamentò la morte, alcuni anni dopo i Beach Boys gli dedicarono una canzone, un tributo a nome del popolo del surf.

Dall'altra parte dell'oceano, invece, John Lennon giunse addirittura a dichiarare che "senza James Dean non sarebbero mai esistiti i Beatles". Lo stesso Lennon, nella copertina del suo "Rock'n'roll", era ritratto abbigliato e atteggiato "alla James Dean" e sembrava così unire, all'omaggio al glorioso rock'n'roll costituito dal suo disco, un preciso riferimento all'attore, rendendone così esplicito il profondo legame spirituale intessuto con la cultura della musica rock. I primi anni 70, poi, assistettero al fiorire del culto di Jim Morrison, senza dubbio debitore di James Dean. Alla fine dei 70, fu la volta del bassista dei Sex Pistols, Sid Vicious, uno dei simboli più eloquenti di una nuova "gioventù bruciata", a esser visto da alcuni come un'ennesima incarnazione, ben più perversa e trasgressiva, dell'angelo maledetto di Hollywood. Nel corso degli anni 80, fu Morrissey - cantante degli Smiths - a dar voce agli aspetti più intimisti e malinconici dell'attore, alla cui memoria egli dedicò persino un libro ("James Dean Is Not Dead", 1983). Negli anni 90, infine, qualcuno giunse a paragonare il tormentato e alienato Kurt Cobain, leader dei Nirvana, a un moderno James Dean il quale, tra l'altro, ritratto nel '54 in una celebre sequenza di fotografie, aveva introdotto con decenni di anticipo anche una sorta di portamento "grunge" ante litteram.

Forse non è stata la scomparsa di James Dean a introdurre per la prima volta la mitizzazione della morte prematura, ma fu sicuramente la sua a offrire una nuova, moderna, formulazione a quell'ideale romantico; proprio lui che di un celebre poeta romantico vissuto intensamente, Byron, portava anche il nome. Fu James Dean infatti l'interprete per eccellenza del detto "live fast, die young"; anch'esso, fu fatto proprio ed esaltato dal rock: da Jimi Hendrix a Jim Morrison, da Nick Drake a Tim Buckley, da Sid Vicious a Ian Curtis, fino a Kurt Cobain, nell'immaginario del rock, la precoce morte biologica sembra costituire il definitivo lasciapassare per l'immortalità e la consacrazione artistica.

Ma chi fu veramente James Dean? Il giovane attore di talento la cui promettente carriera fu interrotta da una morte prematura, oppure uno dei prodotti dell'immaginario collettivo americano? Egli fu sicuramente, e più di altri, l'una e l'altra cosa insieme. Solo in America, terra giovane di storia e dotata di uno straordinario potere mitopoietico, poteva fiorire la moderna leggenda di James Dean che, simile a un eterno Peter Pan, occupa uno dei posti d'onore nell'Olimpo delle "divinità" americane: quello che, tra le altre, ospita le stelle di Elvis Presley e Marilyn Monroe e che rappresenta uno dei custodi dell'American dream, alimentato dalle proprie stesse mitologie. Ma, d'altro canto, l'icona di James Dean sembra anche rappresentare un caso a sé.

Perpetuandosi e rinnovandosi in modo singolare, e per certi versi unico, quella dello sfortunato attore appare, rispetto alle altre, un'immagine ben più profonda: più reale e autentica ma, insieme, più universale e indefinita. La grandezza di James Dean, e il segreto del suo incredibile e duraturo successo, consistette nell'esser riuscito, grazie anche al suo indubbio talento, a infondere le pellicole di qualcosa d'unico, come lo era la sua irrequieta personalità e, allo stesso tempo, a rendersi interprete universale non soltanto dei giovani americani del dopoguerra, ma anche dello spirito profondo dei giovani d'ogni tempo.

7. Biografia di Oreste Del Buono

Rivoluzioni editoriali
8 marzo 1923
30 settembre 2003
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Chi è Oreste Del Buono?


Odb: questa è la sua sigla e al tempo stesso una specie di marchio dell'uomo che ha fatto conoscere in Italia i fumetti dei Peanuts di Charles Schulz. Qualifica riduttiva, certamente, visto che Oreste Del Buono è stato uno dei più fini ed irregolari intellettuali dell'Italia del dopoguerra.

Tuttavia, insofferente delle definizioni, non tollerava essere definito un intellettuale, lui che lo era molto più di tanti. Gentile, infastidito dalle ingiustizie e dagli atti di arroganza, Del Buono collezionò una notevole quantità di "dimissioni" che lo portarono ad emigrare in moltissime redazioni.

Nato l'8 marzo 1923 all'isola dell'Elba, Oreste Del Buono fin da piccolo ha svolto attività culturale a tutto campo. Scrittore, giornalista, critico e consulente editoriale, esordì nel 1945 con il libro "Racconto d'inverno", romanzo in cui racconta la sua esperienza di deportato in un lager nazista.

Nei testi successivi affronta le ragioni di quella che definiva la sconfitta storica della sua generazione: ecco allora "Per pura ingratitudine" del 1961, "I peggiori anni della nostra vita" del 1971; "Tornerai" del 1976, "La talpa di città" del 1984, "La nostra classe dirigente" del 1986, "Amici, amici degli amici, maestri..." del 1994.

Saggista polemico e graffiante, Del Buono è stato anche un pregevole traduttore letterario. Nel suo carnet si contano oltre 190 opere tradotte di scrittori come Proust, Flaubert, Maupassant, Stevenson e Oscar Wilde; Odb inoltre è stato curatore di antologie del genere poliziesco, di cui era grande appassionato e profondo conoscitore.

Memorabile è la sua direzione dal 1971 al 1981 della rivista di fumetti "Linus" che, oltre a far scoprire come già ricordato il genio di Schulz e i suoi Peanuts, diventò una fucina dei grandi disegnatori nazionali e internazionali.

E' ormai opinione comune che uno dei grandi meriti di Del Buono sia stato quello di aver "sdoganato" il fumetto, di avergli dato dignità formale e sostanziale, non solo selezionando i migliori e più maturi esponenti del genere ma anche facendogli concretamente muovere i primi passi fuori dal ghetto culturale in cui era relegato fin dagli anni '60.

In seguito ha collaborato con il "Corriere della sera" e "Panorama", oltre che con "La stampa" di Torino, in cui per anni ha tenuto una celeberrima rubrica di lettere con i lettori.

Tale onnivora predisposizione culturale si spiega anche con una particolarità dello stile di vita di Odb: afflitto da una invincibile insonnia, leggeva e scriveva fino all'alba. Lui stesso ebbe più volte modo di raccontare come non dormisse più di tre ore per notte.

Oreste Del Buono, che anche nei momenti difficili non ha mai perduto la sua proverbiale ironia, è scomparso il 30 settembre 2003 dopo una lunga malattia, all'età di 80 anni.

Per il giornalista e scrittore Nico Orengo, grande amico dell'autore scomparso, Oreste Del Buono è "uno degli intellettuali che ha sovvertito, innovato, cambiato il panorama della editoria italiana, dai giornali alle riviste, alle collane editoriali, alla stregua dei grandi editor come Calvino, Vittorini, Spagnol, Sereni e a editori quali Bompiani, Mondadori e Rizzoli".

8. Biografia di Rudolf Diesel

Invenzioni e motori, gioie e dolori
18 marzo 1858
30 settembre 1913

Chi è Rudolf Diesel?


Rudolf Christian Karl Diesel nasce il 18 marzo del 1858 a Parigi, figlio di genitori tedeschi: la madre è una governante e tutrice che insegna tedesco, mentre il padre è un artigiano del cuoio piuttosto famoso.

Gli studi e la vocazione

Dopo avere frequentato con ottimi risultati le scuole elementari,
Rudolf Diesel
all'età di dodici anni viene iscritto alla Ecole Primaire Superieure, ritenuta una tra le migliori scuole medie della capitale francese.

Con l'esplosione della guerra franco-prussiana nel 1870, tuttavia, la famiglia Diesel viene considerata un nemico, e quindi si rifugia in Gran Bretagna, a Londra, così da trovare asilo in una nazione neutrale.

Successivamente, grazie anche all'aiuto di un cugino, Diesel - a guerra ancora in corso - si reca ad Augusta, la città di provenienza della sua famiglia, e qui viene ammesso alla Real Scuola di Commercio della Contea: eccellente studente, all'età di quattordici anni scrive una lettera ai suoi genitori comunicando loro la sua intenzione di diventare un ingegnere.

Dopo avere completato gli studi obbligatori nel 1873, entra nella Scuola Industriale di Asburgo, appena fondata, e due anni più tardi ottiene una borsa di studio alla Technische Hochschule di Monaco, in Baviera, che accetta nonostante il parere contrario dei genitori, che vorrebbero che iniziasse a lavorare; in questo periodo, diventa un pupillo di Carl von Linde.

Nel 1880 Rudolf Diesel consegue la laurea: è da quel momento che si impegna alla ricerca di un sostituto del vapore (più efficace) per le macchine termiche.

Nel frattempo lavora a Winterthur, in Svizzera, come tecnico e progettista per due anni, prima di tornare a Parigi per essere assunto alle industrie di refrigerazione Linde, in qualità di ingegnere.

L'idea fissa e la ricerca del risultato

Nel 1883 si sposa, mentre due anni più tardi fonda la sua prima officina, che funziona anche come laboratorio. Potendo contare su una preparazione notevole sia in fisica che in matematica, si dedica alla progettazione di un motore caratterizzato da un rendimento più elevato rispetto sia a quello della macchina a vapore, sia a quello del motore inventato poco tempo prima da Nikolaus August Otto.

L'idea di Rudolf Diesel è quella di un motore che si avvalga unicamente della temperatura elevata che viene prodotta nella camera di scoppio dalla compressione dell'aria per l'accensione del carburante.

Il progetto non è ancora portato a termine quando Rudolf si trasferisce a Berlino, su richiesta della Linde; nel 1892 (il 23 febbraio) egli ottiene il brevetto per il suo motore in Germania, così da riuscire a trovare i finanziamenti e il supporto di cui ha bisogno per completare il progetto: fino al 1897, tuttavia, non viene creato alcun esemplare in grado di funzionare correttamente e in maniera completamente soddisfacente.

Nel frattempo, Diesel pubblica un saggio intitolato "Teoria e costruzione di un motore termico razionale, destinato a soppiantare la macchina a vapore e le altre macchine a combustione finora conosciute", risalente al 1893, nel quale spiega il principio di funzionamento della sua intuizione; nel febbraio del 1894, invece, porta a termine un motore caratterizzato da un singolo pistone, che in occasione di una dimostrazione pubblica viene fatto girare per un minuto e alimentato con del carburante polverizzato, introdotto da aria compressa.

L'invenzione vede finalmente la luce

È solo nel 1897, come detto, che l'invenzione di Rudolf Diesel viene completamente definita: mentre egli è al lavoro alla Maschinenfabrik Augsburg, costruisce un prototipo perfettamente funzionante, anche se simile, sotto molti punti di vista, a quello proposto da Herbert Akroyd Stuart due anni prima (per questo motivo vi saranno, negli anni successivi, molteplici controversie a proposito della paternità del brevetto).

Diesel presenta ufficialmente il suo motore durante l'Esposizione Universale di Parigi del 1900, dopo tre anni di studi: un motore che funziona con l'olio di arachidi come carburante e che viene prodotto quasi subito.

Nel giro di pochissimo tempo, Diesel ottiene una rendita milionaria, garantita dai brevetti riconosciuti in tutti i Paesi europei al motore, e diventa molto ricco. A partire dal 1904, egli intraprende una serie di conferenze negli Stati Uniti, in occasione delle quali ha modo di spiegare nei dettagli il suo progetto.

La morte misteriosa

Rudolf Diesel muore improvvisamente il 30 settembre del 1913 nel Canale della Manica, cadendo in mare mentre è in viaggio in nave diretto in Inghilterra, dalla Francia verso Harwich. Le circostanze dell'episodio, tuttavia, non vengono mai chiarite: secondo alcuni, si tratterebbe di suicidio, come dimostrerebbe una croce disegnata sul diario di bordo ritrovato sulla barca vuota; secondo altri, a causare la morte di Diesel sarebbe stata addirittura la Marina tedesca, che in quel periodo stava iniziando a sfruttare i nuovi motori sui sommergibili, nonostante il parere contrario del loro inventore.

In base a quest'ultima teoria, il viaggio di Diesel lo avrebbe portato in Gran Bretagna presso la Royal Navy, alla quale sarebbe stato proposto l'uso dei motori in contrasto con l'utilizzo tedesco: ecco perché l'impero tedesco avrebbe dovuto eliminarlo.

Certo è che, nel testamento lasciato, Diesel chiede che sua moglie Martha riceva una valigia al cui interno sono presenti una modesta somma di denaro e un fascicolo molto voluminoso di documenti che testimoniano i debiti contratti da Rudolf con diverse banche: il motivo dei debiti supporterebbe quindi la teoria del suicidio.

Il cadavere di Rudolf Diesel, una volta ritrovato dai marinai, viene restituito al mare, secondo l'uso dell'epoca.


10. Biografia di Fran Drescher

La forza e il suo sorriso
30 settembre 1957

Chi è Fran Drescher?


Fascino, simpatia e determinazione: queste sono le caratteristiche che hanno contraddistinto una delle più note e apprezzate attrici comiche degli ultimi anni: Fran Drescher. Francine Joy Drescher, questo è il suo vero nome, nasce nel quartiere newyorchese di Queens, il 30 novembre 1957. Desiderosa di diventare attrice sin da piccola, la bella e solare Fran frequenta da giovane la Hillcrest High School e nel contempo studia recitazione. Proprio al circolo di recitazione incontra il futuro produttore televisivo, che sposerà poco tempo dopo, poco più che ventenne, il 4 novembre 1978.

Dopo aver frequentato per un anno il college di Queens, i due si iscrivono ad una scuola di cosmetica e, ottenuta la licenza, aprono un piccolo salone dove tagliano i capelli per cinque dollari. Ma la giovane Fran vuole a tutti i costi recitare, e nel 1977 riesce addirittura a debuttare nel cinema, in una piccola parte nel film "La febbre del sabato sera" (Saturday Night Fever) di John Badham, accanto a John Travolta. Leggendaria la pacca sul sedere che l'attrice dà al giovane protagonista nella scena ambientata in discoteca.

Seguono altri piccoli ruoli in film di modesto valore, fino a quando nel 1993 arriva il grandissimo successo con la sua gustosa interpretazione della sit-com televisiva "La Tata" (trasmessa negli USA dal network CBS col titolo di "The Nanny"). Fran veste i panni di un'affascinante ed effervescente ragazza, che, improvvisatasi governante, vuole conquistare l'amore del suo attraente e posato datore di lavoro, dei cui tre figli conquista immediatamente l'affetto e la simpatia; Fran Drescher dimostra appieno il suo inesauribile talento di attrice comica.

Questa esilarante sit-com le regala il meritato trionfo, grazie soprattutto alla sua immediata e spumeggiante verve, che le vale ben due nominations agli Emmy, due nominations ai Golden Globe e una nomination per l'American Comedy Award.

La fortunatissima avventura televisiva termina nel 1999.

Nello stesso anno Fran Drescher, dopo oltre vent'anni di matrimonio, divorzia dal produttore Peter Marc Jacobson, con cui manterrà però un forte rapporto d'amicizia.

Intanto l'attrice continua a deliziare il pubblico con alcune gustose interpretazioni cinematografiche, tra le quali ricordiamo quelle in "Jack" (1996) di Francis Ford Coppola, "L'amore è un trucco" (The Beautician and the Beast, 1997) di Ken Kwapis, e "Ho solo fatto a pezzi mia moglie" (Picking Up the Pieces, 2000) di Alfonso Arau, con Woody Allen.

Nel 2005 torna alla grande sul piccolo schermo con una nuova e divertente sit-com, dal titolo "Living with Fran", in cui interpreta una neodivorziata e seducente mamma quarantenne, che conquista un ragazzo giovanissimo, il cui rapporto con l'altrettanto giovane figlio di lei non sarà però dei più felici.

Verso la fine degli anni '90 l'attrice ha pubblicato il suo primo libro "Enter Whining", una divertente autobiografia in chiave umoristica, seguito da "Cancer Schmancer", nel quale racconta la dura esperienza di convivenza con un cancro all'utero, che Fran Drescher ha però superato brillantemente grazie alla sua smisurata forza d'animo.

Lasciata la malattia definitivamente alla spalle, torna in tv nel 2011 con una nuova divertente serie dal titolo "Happily divorced" (felicemente divorziata): la storia è quella di una donna che dopo diciotto anni di matrimonio viene a scoprire l'omosessualità del marito; iniziano così ad arrivare diversi appuntamenti galanti con molti risvolti comici.

11. Biografia di Martina Hingis

C'era una volta una racchetta magica
30 settembre 1980

Chi è Martina Hingis?


Ex tennista professionista svizzera, classe 1980, Martina Hingisova Molitor nasce il 30 settembre a Kosice, Cecoslovacchia (oggi Slovacchia), vive per un certo periodo in Florida, per poi tornare in Svizzera, dove risiede nella cittadina di Trubbach. E' entrata nella storia come la più giovane persona a vincere un titolo al Torneo di Wimbledon. Il suo futuro, d'altronde, non poteva che essere segnato, se è vero che venne chiamata Martina in onore della grande Martina Navratilova, altra grande tennista di origine cecoslovacca.

Come molte tenniste professioniste, Martina Hingis ha iniziato a giocare in giovane età, cosa che, dopotutto, quel durissimo sport che è il tennis richiede. Maneggiare una racchetta è quasi come maneggiare un violino: prima si inizia, meglio è. A cinque anni la vediamo già sgambettare sui campi in terra rossa, partecipare a vari tornei appena diventa un po' più grandicella e, a sedici anni, fare coppia con Helena Sukova in uno storico doppio femminile.

Negli incontri di singolo la carriera è folgorante: è proiettata in men che non si dica nel firmamento internazionale; vince a Wimbledon e gli US Open nel 1997 (a soli diciassette anni) e gli Australian Open rispettivamente nel 1997, 1998 e 1999.

Nel 1998 vince tutti i tornei di doppio del Grande Slam, incantando pubblico e intenditori per il suo stile elegante e altamente spettacolare. Un tipo di gioco che è il frutto di una meticolosa applicazione della materia grigia, una sostanza che non tutti possono vantare di avere. Mancando infatti della potenza fisica di Monica Seles (per non parlare di altre atlete esplosive come Serena Williams), ha dovuto adattarsi ad un gioco basato sulla fantasia e sull'elemento sorpresa, affidandosi a colpi da fondo campo, fluidi e precisi, alla sua abilità sotto rete - che le ha permesso di diventare un'eccezionale giocatrice di doppio - e alla sua notevole varietà di colpi.

Martina Hingis è diventata popolare tra gli appassionati di tennis anche per il suo comportamento brillante ed effervescente in pubblico, combinato con un aspetto attraente che l'ha resa quasi un sex-symbol, nonché icona appetita dai sempre famelici pubblicitari. Nessuno stupore, dunque, che le sue apparizioni in doppio con l'altra campionessa-modella del tennis, Anna Kournikova, abbiano attirato l'attenzione dei media per motivi non solo sportivi.

Ma la carriera di Martina, dopo questa messe di successi, è destinata ad un duro stop. Dopo essere stata la numero 1 della classifica femminile, nell'ottobre 2002 interrompe l'attività a causa di cronici infortuni a piedi e ginocchio; nel febbraio 2003 dichiara addirittura di non prevedere un ritorno alle competizioni. Martina Hingis confessa di non essere in grado di giocare ad alti livelli, e che non è intenzionata ha sopportate il dolore ai piedi giocando ad un livello inferiore.

Dopo lo stop si dedica allo studio serio dell'inglese, a cui ha alterna apparizioni pubblicitarie per conto di diversi sponsor.

L'altra sua grande passione è l'equitazione e certo non si fa mancare lunghe cavalcate con il suo cavallo preferito. Le era stata attribuita una relazione con Sergio García, giocatore di golf professionista, ma questi ha pubblicamente riconosciuto la fine della relazione nel 2004.

Dopo uno stop di tre anni, all'inizio del 2006 arriva il ritorno ufficiale al tennis della ex numero uno del mondo, superando il primo turno del torneo Wta di Gold Coast (Australia).

Nel mese di maggio dello stesso anno trionfa agli Internazionali di Roma, tornando di prepotenza nella top 20 mondiale.

Poi precipita: annuncia il ritiro all'inizio del mese di novembre 2007, dopo che è stata trovata positiva alla cocaina all'ultimo Torneo di Wimbledon: nel corso di una conferenza stampa a Zurigo, ha ammesso di essere coinvolta in un'inchiesta sul doping e di voler quindi lasciare l'attività agonistica.

All'inizio del 2008 la Federazione Internazionale di Tennis, come da regolamento, cancella tutti i suoi risultati ottenuti da Wimbledon 2007 e la squalifica per due anni. A ottobre del 2009, terminato il periodo di squalifica, Martina Hingis annuncia di non tornare più sui campi da tennis; a 29 anni decide di dedicarsi ai cavalli.

12. Biografia di Giorgio Panariello

Simpatia a presa rapida
30 settembre 1960

Chi è Giorgio Panariello?


Artista di grande spessore umano, dotato di grande umiltà, autoioronia e grande rispetto per il pubblico, Giorgio Panariello nasce a Firenze il 30 settembre 1960. Versiliese di adozione, Panariello è una presenza costante nel mondo dello spettacolo italiano, con un indice di gradimento ed una riconoscibilità così alta che ne fanno uno dei maggiori beniamini del pubblico.

Grazie alla sua grandissima carica espressiva Panariello riesce a passare con grande disinvoltura attraverso tutti i mezzi di comunicazione dello spettacolo, dal teatro alla televisione, fino algrande schermo, riuscendo a manifestare in ogni contesto il suo talento a presa rapida, in virtù di quel trasformismo del quale è maestro impareggiabile.

L'esordio artistico avviene con la vittoria della seconda edizione di "Stasera mi butto", seguito dalla partecipazione - in qualità di imitatore - a numerose trasmissioni televisive.

Ma è con "Vernice fresca", al fianco del noto presentatore e amico Carlo Conti, che Giorgio Panariello riesce a sfogare la sua indole di comico e caratterista di innumerevoli personaggi. Al fianco di quella televisiva, Giorgio può vantare una lunga esperienza teatrale, iniziata con "Quaderno a quadretti" nel 1992, seguita poi da "Vicini birichini" in cui già compaiono i suoi più noti personaggi.

L'esplosione presso il grande pubblico avviene con "Aria fresca", in onda su Videomusic, seguita dallo spettacolo teatrale "Panariello sotto l'albero" con cui il comico toscano fa registrare il tutto esaurito al Teatro Tenda di Firenze per due settimane di fila, con oltre 24 mila presenze.

Grazie a Maurizio Costanzo, Giorgio Panariello debutta nel 1997 al teatro Parioli di Roma con "Boati di silenzio". Lo spettacolo sbarca poi al Ciak di Milano, al Palasport di Firenze e diverse altre città d'Italia dove lo spettacolo registra sempre il tutto esaurito.

Grazie allo straordinario successo di pubblico e critica Giorgio ottiene l'attenzione del cinema. La Cecchi Gori Group gli offre la possibilità di lavorare nel primo film di Umberto Marino, "Finalmente soli" (1997), e poi come sceneggiatore e regista del suo "Bagnomaria" (1999), scritto a sei mani con i padri della commedia brillante italiana, De Bernardi e Benvenuti.

Nel 2000 è in onda in prima serata, il sabato, su RaiUno con cinque puntate della trasmissione "Torno sabato". Grazie al successo ottenuto, la televisione lo incorona personaggio rivelazione dell'anno con due ambitissimi premi, l'Oscar Tv ed il Telegatto. In "Torno sabato" Giorgio Panariello ha messo a segno personaggi come Mario il bagnino, il bambino Simone, il pierre della discoteca Kiticaca di Orbetello tutto-marsupio-e-poco-cervello, Merigo l'ubriaco, la signora Italia, Lello Splendor e Raperino il nonno. Con questa esperienza inoltre dimostra il talento per poter "bucare" il video come monologhista: arriva a totalizzare oltre undici milioni di telespettatori.

Del 2000 è anche il suo film "Al momento giusto", scritto con un giovane sceneggiatore e affiancato dall'attore e autore comico Carlo Pistarino (autore e compagno anche nelle esperienze del sabato sera televisivo).

Nel 2001 Giorgio torna nei teatri con il nuovo spettacolo "Panariello...chi?" sempre per la regia di Giampiero Solari; in scena con lui il musicista-cantante Paolo Belli.

A settembre entra nel cuore di molti italiani con lo spettacolo televisivo itinerante "Torno sabato - la lotteria", varietà del sabato sera di Raiuno legato alla Lotteria Italia che raggiunge una media di otto milioni di telespettatori a puntata. Grazie al programma nel 2002 Giorgio Panariello si aggiudica ben tre premi Oscar Tv e il Telegatto per il Varietà dell'anno.

Seguono una serie di attività itineranti caratterizzate da un impressionante numero di "tutto esaurito": a luglio 2002 parte lo spettacolo estivo "Panariello d'estate" che tocca i principali luoghi di villeggiatura italiani; dal mese di novembre fino al febbraio 2003 ha replicato 70 volte il suo tour teatrale "Chissà se sarà uno show"; nella primavera del 2003 il poliedrico Giorgio torna sui palcoscenici italiani cimentandosi nei panni di uno dei piu' classici e divertenti protagonisti del teatro comico internazionale: Monsieur Jourdain, ne "Il borghese gentiluomo" di Moliere (replicato poi nell'inverno 2004); nell'estate 2003, con solo otto date, tocca le principali località turistiche del centro Italia con lo spettacolo teatrale "Chissà se sarà uno show".

Quest'ultima esperienza funge da test in attesa del prossimo grande impegno televisivo del sabato sera, naturale proseguimento dei precedenti. Si arriva così a "Torno sabato ... e tre" che lo ha consacrato campione di ascolti. A seguito degli ottimi risultati Giorgio viene scelto dalla RAI come testimonial per la campagna abbonamenti al canone televisivo per l'anno 2004.

Ad aprile 2004 Giorgio Panariello sbarca in America per due sole date(New Yok e Connecticut) per regalare grandi sorrisi alle comunità italiane presenti. L'affetto del pubblico è stato nuovamente caloroso e travolgente. Nell'estate seguente gira l'italia con lo spettacolo "Giorgio in scena", tour estivo con cui Giorgio ha voluto far vedere come il vero spettacolo avvenga dietro le quinte.

Con un bagaglio infinito di personaggi e imitazioni (quella esemplare di Renato Zero - che Giorgio ama molto - per citarne una) l'instancabile Giorgio Panariello, le cui sorprese non finiscono mai, torna ad ottobre 2004, capitano e condottiero dei sabato sera di RaiUno, con una trasmissione il cui titolo omaggia la nota canzone di Rino Gaetano, "Ma il cielo è sempre più blu".

Alla fine del mese di febbraio 2006 torna alla grande per condurre l'appuntamento Rai più importante della stagione, il Festival di Sanremo. Al suo fianco la bellissima Ilary Blasi.

13. Biografia di Teresa di Lisieux

Santa delle rose e del bambin Gesù
2 gennaio 1873
30 settembre 1897

Chi è Teresa di Lisieux?


Thérèse Françoise Marie Martin, conosciuta in Italia come Santa Teresa di Lisieux, nasce il giorno 2 gennaio 1873 ad Alençon, nella Bassa Normandia (Francia).

Morta giovanissima di tubercolosi, ad appena ventiquattro anni, il giorno 30 settembre 1897 a Lisieux, durante gli ultimi giorni della sua vita ha voluto rassicurare le sue consorelle che il suo ingresso in cielo non le avrebbe impedito di continuare a lavorare per la salvezza delle anime.

Monaca carmelitana presso il monastero di Lisieux, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica; nella devozione popolare è nota anche come santa Teresina, diminutivo usato per distinguerla dall'altra santa carmelitana e Dottore della Chiesa, Teresa d'Avila. Il 19 ottobre 1997 fu dichiarata Dottore della Chiesa, la terza donna a ricevere tale titolo dopo Caterina da Siena e appunto Teresa d'Avila.

Santa Teresa del Bambin Gesù del Santo Volto è il nome da lei assunto al momento della professione dei voti. La sua festa liturgica ricorre il giorno 1 ottobre.

Dal 1927 è patrona dei missionari; dal 1944 assieme a Giovanna d'Arco, Santa Teresa di Lisieux è considerata anche patrona di Francia. Divenne in breve tempo una della Sante più popolari e più amate del suo tempo.

I suoi genitori avevano espresso inizialmente il desiderio di intraprendere la vita religiosa, ma in seguito si sposarono ed ebbero nove figli, dei quali solo cinque sono sopravvissuti fino all'età adulta. La madre morì quando Teresa aveva solo quattro anni. La sorella maggiore, Pauline, è diventata una seconda madre per Teresa.

Pauline entrò nel convento delle Suore Carmelitane all'età di sedici anni. Altre due altre sorelle diventarono religiose come Pauline, la quale assunse il nome di Madre Agnese di Gesù. La conversione di Teresa avviene il Natale del 1886. Da questa conversione scaturì in lei il bisogno di una ricerca e di una conoscenza approfondita di Dio, che Teresa definì "Scienza d'amore". Questa ricerca sfociò poi nel desiderio di diventare suora carmelitana, seguendo le orme delle sorelle.

Teresa entrò quindi in convento nel 1887, all'età di quindici anni. Il percorso non fu facile: dovette superare l'opposizione della famiglia e quella del parroco di Saint-Jacques, il reverendo Delatroètte, che le consigliò di rivolgersi al vescovo. Teresa, determinata a intraprendere la vita religiosa, si recò assieme al padre e alla sorella a Roma, per chiedere il permesso direttamente al Papa.

A Roma, all'udienza con Leone XIII, nonostante il divieto di parlare in presenza del Papa imposto dal vescovo di Bayeux, Teresa si inginocchiò davanti al Pontefice, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità ecclesiastiche competenti, sebbene non avesse ancora raggiunto l'età minima per l'ammissione in convento. Il Papa non acconsentì tuttavia le rispose che, se la sua entrata in monastero era scritta nella volontà di Dio, quest'ordine l'avrebbe dato il Signore stesso.

Santa Teresa di Lisieux è stata canonizzata nel 1925 da Papa Pio XI, e nel 1997 è stata proclamata Dottore della Chiesa da Papa Giovanni Paolo II.

Gonxha Bojaxhiu, conosciuta in tutto il mondo per le sue opere di bene, assunse il nome di Madre Teresa (di Calcutta), in onore a Teresa di Lisieux (si veda http://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=5ced).

14. Biografia di Renato Zero

Un impero di sorcini
30 settembre 1950

Chi è Renato Zero?


Renato Zero, il cui vero nome è Renato Fiacchini, nasce a Roma il giorno 30 settembre 1950.

Figlio di Ada Pica, di professione infermiera, e di Domenico, poliziotto di origine marchigiana, Renato vive la sua adolescenza nella borgata della Montagnola.

Frequenta le scuole fino alla terza media, poi l'Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini, che lascia al terzo anno per dedicarsi completamente alla musica, alla danza, il canto e la recitazione.

Giovanissimo, inizia a travestirsi e ad esibirsi in piccoli locali romani: come sfida verso i tanti denigratori delle sue performance - "Sei uno zero" è una delle frasi che più si sente ripetere - assume il nome d'arte di Renato Zero. A 14 anni ottiene il suo primo contratto, al Ciak di Roma, per 500 lire al giorno. Viene notato da Don Lurio, in una delle tante serate trascorse al Piper, famoso locale notturno di Roma. Da qui, la scrittura per il gruppo di ballo I Collettoni, che fa da supporto a una giovanissima Rita Pavone nel suo show serale.

Registra poi alcuni caroselli per una nota marca di gelato. In questi anni instaura un'amicizia con Loredana Berté e Mia Martini. Nel 1965 Renato Zero incide i suoi primi brani - "Tu", "Sì", "Il deserto", "La solitudine" - che non verranno mai pubblicati. La pubblicazione del suo primo 45 giri, arriva nel 1967: "Non basta sai/In mezzo ai guai", prodotto da Gianni Boncompagni, anche autore del testo (le musiche sono invece di Jimmy Fontana), che vende soltanto 20 copie (verrà poi inserito come omaggio nel VHS "La notte di Icaro", circa 20 anni dopo).

A teatro interpreta la parte del venditore di felicità nel musical "Orfeo 9" di Tito Schipa Jr. Al cinema lavora come comparsa in alcuni film di Federico Fellini (Satyricon e Casanova) e fa parte del cast della versione italiana del musical Hair, insieme, tra gli altri, a Loredana Berté e Teo Teocoli.

Nei primi anni Settanta, con l'avvento del glam-rock, caratterizzato da cipria, lustrini e paillettes, i tempi sono maturi perché Renato Zero possa proporre il suo personaggio, provocatorio ed alternativo. Zero racconta questa figura in brani come "Mi vendo" (serio e volutamente sfrontato grido di un "prostituto felice") e, in genere, l'intero album Zerofobia, da "Morire qui" a "La trappola", da "L'ambulanza" al brano-emblema della filosofia zeriana, "Il cielo".

Nel disco, è presente anche una cover in lingua italiana, di "Dreamer" dei Supertramp, qui divenuta "Sgualdrina".

Al periodo successivo (Zerolandia, la terra promessa dell'amore e dell'amicizia, senza distinzioni sessuali) si ascrivono pezzi come "Triangolo", "Fermo posta" e la fin troppo esplicita "Sbattiamoci", che si fondono e si completano con accorati messaggi anti-aborto, già presenti nei primi album ("Sogni nel buio"), nonché anti-droga ("La tua idea", interamente scritta da Renato Zero, parole e musica, "Non passerà", "Uomo no" e "L'altra bianca") e contro il sesso troppo facile ("Sesso o esse").

E proprio questa personalità unica che cattura negli anni un pubblico numeroso, al limite dell'idolatria: i cosiddetti "sorcini", termine che ha poi sostituito quello originario di "zerofolli". Il termine sarebbe nato nel 1980, quando trovandosi a Viareggio, mentre si spostava in auto, assediato dai fans che con i motorini sfrecciavano da tutti i lati, disse: "Sembrano tanti sorci".

Nel 1981, ai suoi fan l'artista dedica il brano "I figli della topa", inserito all'interno di "Artide Antartide" e tenendo fede a ciò che aveva scritto nel brano, l'anno successivo, organizzò le "Sorciadi" presso lo Stadio Eucalipti nei pressi di Viale Marconi a Roma, partecipando di persona alla premiazione dei vincitori, con grande entusiasmo da parte dei giovani fans.

Nelle composizioni più recenti dell'artista, e ad esempio nell'album "Il dono" si alternano temi sociali ("Stai bene lì", "Radio o non radio", "Dal mare") e spirituali-esistenziali ("Immi ruah", "La vita è un dono").

La lunga carriera artistica di Renato Zero conta oltre 30 album in studio, conosce anni d'oro (i primi anni Ottanta) come periodi di crisi (fino al 1990). Per celebrare i suoi 60 anni, alla fine del mese di settembre del 2010 inizia il tour "Sei Zero", una serie di otto concerti in undici giorni.

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